Archivio per Maggio, 2011

I fiori del tiglio

I fiori del tiglio

Tra gli innumerevoli odori che la primavera ci regala ce n’è uno per me inconfondibile, quello dei tigli, che si lega indissolubilmente ai ricordi della mia infanzia, proprio come la famosa madeleine di Proust. E’ un profumo persistente eppure delicato, dolce ma non stucchevole, è un odore di pulito, di sapone, di fresco.

Il tiglio fiorisce tra la fine di maggio e l’inizio di giugno: quando andavo a scuola questo era per me il profumo dell’imminente fine delle lezioni, delle sere lunghe e luminose di giugno, dei gelati, delle maniche corte. Era anche l’odore che annunciava l’arrivo del mio compleanno (erano ancora gli anni in cui il compleanno è una data che si attende con ansia) e poi era il periodo della festa di Sant’Antonio, con la processione, l’infiorata, i fuochi d’artificio. Era il profumo delle serate al luna park, delle vacanze e dell’estate che stava iniziando, che sarebbe stata sicuramente una bellissima estate.

Ora le mie vacanze purtroppo sono molto più brevi e quei torridi pomeriggi estivi che non passano mai non fanno più parte della mia vita, ora il mio compleanno è un giorno come un altro, anzi è un giorno inclemente che mi ricorda che sono più vecchio, e sono molti anni ormai che non vedo più la processione di Sant’Antonio. Eppure le serate di giugno sono ancora straordinariamente belle e struggenti e il profumo dei tigli per me è ancora il profumo dell’estate, di qualcosa che inizia, di un’attesa, di una speranza per il futuro.

Chiudo gli occhi e inspiro. I tigli stanno fiorendo: giugno è arrivato, l’estate è alle porte.

Era il maggio odoroso, proprio come nei versi di Leopardi a cui tante volte ho pensato in quei terribili giorni, un maggio odoroso e crudele, il maggio di un anno fa. Solamente un anno eppure sembra una vita: sono successe tante cose in questi dodici mesi, la ruota della vita cigolando ha continuato a girare, inesorabilmente, inevitabilmente.

Si dice che il tempo curi tutte le ferite, eppure ancora rimane lo stesso insensato dolore, lo stesso senso di vuoto, di ingiustizia, l’incapacità di accettare, i nostri pensieri che spesso, spesso tornano a te, alla tua incontenibile esuberanza, al tuo innato amore per la vita, alla tua invidiabile capacità di comunicare agli altri il tuo affetto, di ridere e far sorridere, di far apparire migliore questo triste mondo. I nostri pensieri ritornano a te, a voi, a lui, alla sua forza e al suo straordinario coraggio, al nostro affetto troppo silenzioso, alle parole che non riusciamo a dire, alle telefonate non fatte, al nodo che ancora ci stringe la gola.

Un anno fa. Erano gli ultimi giorni di maggio, l’aria calda era appestata dall’odore pesante e dolciastro dei fiori di gelsomino che, ingialliti, marcivano appesi ai rami, annunciando la fine della primavera.

Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla (Lao Tzu)

Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla (Lao Tzu)

La vita è cambiamento. E ho sempre trovato inutile e stupido lo sforzo di quelli che cercano di congelarla, di perpetrare all’infinito una stagione, una condizione, un modo di vivere, sperando di poter dare alla vita l’immobilità della morte.

A volte il cambiamento è sotterraneo, quotidiano, impercettibile e riesci ad accorgertene solo ad anni di distanza: una ruga nell’angolo degli occhi, tua figlia che oggi è un po’ più grande, un po’ diversa da ieri, la tua città che lentamente, edificio dopo edificio, negozio dopo negozio, silenziosamente cambia aspetto.

Altre volte il cambiamento è improvviso, evidente, e un capitolo della tua vita si conclude, e pensi che con tutti i ricordi belli e brutti che contiene ha comunque contribuito a farti diventare la persona che sei.
Bisogna sapersi adattare, sopravvivere come ogni volta, come di fronte ad ogni altro cambiamento già vissuto. Ma, mentre ci sforziamo di tenerci sempre al passo con la vita, mentre corriamo per non perdere nemmeno una battuta, un battito del proprio cuore, concedete almeno a chi come me ha un temperamento malinconico e anche un po’ melodrammatico di rivolgere a quei ricordi, a quei giorni ormai lontani il proprio personalissimo e struggente addio.

Crowds, Florence

Folla agli Uffizi (Crowds, Florence di Steve's Wildlife, su Flickr)

Stamani, dovendo fare alcune commissioni, ho preso un paio d’ore di permesso e sono uscito per le strade di Firenze, illuminate da una radiosa giornata di maggio. Sono sempre un po’ euforico quando, in un giorno feriale, vado in giro anziché essere al lavoro, c’è come un’aria di vacanza.

La città in questi giorni è presa d’assalto dai turisti: attraversare Piazza della Signoria è un’impresa non da poco, procedo costantemente sotto il fuoco incrociato di centinaia di macchine fotografiche, che, loro malgrado, porteranno la mia immagine in giro per il mondo: in Germania, negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone. Quando possibile cerco di evitare le strade più frequentate dal turismo di massa: a Firenze molte volte è sufficiente spostarsi di pochi metri in una via parallela per trovarsi immersi in un’irreale e meravigliosa solitudine.

Ma non stamattina. Stranamente, anche le strade più dimesse brulicano di persone. Ma in effetti in queste strade non ci sono turisti, è gente che vive a Firenze, che va all’ufficio postale o in un negozio o a prendere un caffè o semplicemente fa una passeggiata e si gode la bellissima giornata. Sono persone di tutte le età: ragazzi (ma non vanno a scuola?), giovani (ma non lavorano? non vanno alle lezioni universitarie?), uomini e donne di mezza età (impossibile che siano già in pensione) e ovviamente anziani (l’unica categoria che sarebbe legittimata a essere a zonzo a quest’ora).

Cosa fanno queste persone nella vita? Io voglio saperlo. Mi sarebbe venuta voglia di fermarli uno a uno e chiedere: scusi, ma Lei non lavora? Cosa fa in giro a quest’ora? Dove va?
Ma poi ho pensato che forse non era il caso e che in fondo loro potrebbero chiedere la stessa cosa a me: mi sono accontentato di godermi il sole e la città e poi, inevitabilmente, sono rientrato a malincuore in ufficio, cercando di convincermi che solitamente non è così, che quello di oggi è stato solo un caso e che di solito, mentre io sono a lavorare sotto un freddo neon, le strade della città siano un deserto groviglio di asfalto, attraversato solo raramente dal passo incerto di un anziano che si ferma ad accarezzare un gatto randagio.

La Giustizia

La Giustizia

Non credo che in Occidente qualcuno possa dolersi della morte di Bin Laden, non penso che sia possibile dimenticare le immagini degli aerei che si schiantano contro le Torri, della colonna di fumo che si alza da Manhattan, dei volantini con le foto dei dispersi appesi alle macerie del World Trade Center.

Eppure ieri, quando i media di tutto il mondo rimandavano le immagini degli americani pazzi di gioia che festeggiavano in piena notte davanti alla Casa Bianca, ho provato un senso di disagio. Erano scene già viste, troppo simili nella loro aberrazione ai filmati dei palestinesi che esultavano per l’attentato alle Torri Gemelle. Certo, la situazione era ben diversa, ma per me è comunque inaccettabile una tale manifestazione di giubilo in seguito alla morte di un uomo, tra l’altro proprio in quell’Occidente di cui mi sento di far parte e che si ritiene così superiore e maturo.

Il Presidente degli Stati Uniti, il Nobel per la Pace (sic!) Barack Obama ha commentato l’uccisione dello sceicco del terrore con le parole “Justice has been done”. Certo, immagino che in un Paese dove è ancora in vigore la pena di morte il confine che divide la giustizia dalla vendetta sia molto labile, ma come occidentale avrei preferito vedere immagini più sobrie di fronte a questa morte che in qualche modo chiude un cerchio, conclude una caccia al colpevole durata dieci anni, non avrei voluto vedere l’America che festeggia, ma l’America coraggiosa, orgogliosa e composta del post 11 Settembre, l’America che si scioglie nel pianto e nella commozione ricordando le sue numerosissime vittime.