La suddivisione delle ore della giornata
“8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 per dormire” era il motto dei movimenti sindacali nella seconda metà dell’Ottocento, la prima e più importante rivendicazione, che aprì la strada a tutte le altre battaglie per i diritti dei lavoratori, tuttora rievocate nella festa del Primo Maggio.
Ma questa regola aurea, questa salomonica divisione della giornata in un triangolo perfetto che coniuga l’attività sociale (il lavoro), le necessità fisiologiche (il sonno) e le attività ricreative (lo svago) può considerarsi ancora valida oggi?
Sarà che sono sempre stato un po’ ossessionato dal tempo, dalle lancette dell’orologio che corrono troppo troppo veloce rispetto alla mia vita, e allora così, per fare un esempio, mi sono messo a fare qualche conto sulla mia giornata-tipo, no anzi direi sulla mia giornata-ideale.
Il mio contratto prevede 8 ore di lavoro giornaliere. Ora, anche ammettendo il caso che io stia in ufficio esattamente 8 ore e non un minuto di più, bisogna considerare che non viviamo in un villaggio operaio dell’Ottocento e che oggigiorno in una qualsiasi città di media dimensione ci sono dei tempi di trasporto non trascurabili nella giornata di una persona (nelle metropoli la situazione è ovviamente ancora peggiore). Nella maggior parte dei casi questi tempi di trasporto rendono del tutto inverosimile la possibilità di tornare a casa durante la pausa pranzo (obbligatoria), pertanto il risultato finale è che l’attività lavorativa di fatto consuma 9 ore in una giornata, sebbene 1 ora sia dedicata al pranzo (ma non venitemi a dire che è un’ora di svago, specialmente incastrata com’è tra 4 e 4 ore di lavoro lontano da casa!).
Nel mio particolare caso (ma sono sicuro che non è affatto il caso peggiore, dato che ho la fortuna di lavorare nella stessa città nella quale vivo) impiego 45 minuti per percorrere il tragitto tra la mia casa e il mio luogo di lavoro. Sinceramente, così come l’ora del pranzo, non posso considerare uno svago personale questa ora e mezzo che perdo ogni giorno, dato che si tratta di tempo che io impiego in funzione del mio lavoro (se non dovessi andare al lavoro, potrei usare quell’ora e mezza per altre cose).
Il risultato è che nella mia giornata l’attività lavorativa si mangia in totale 10 ore e mezza, ovvero una quantità che si avvicina molto di più alla metà che ad un terzo della giornata. Questo, se la matematica non è un’opinione, riduce il tempo che posso dedicare allo svago a 5 ore e mezza. Svago che, tenderei a precisare, comprende operazioni come lavarsi, vestirsi, fare colazione, cenare, che da sole si portano via almeno 2 ore. Sicuramente in questo caso si tratta di tempo mio personale, però sfido chiunque a considerare la colazione uno “svago”! Questo significa che il reale tempo che posso dedicare ad attività ricreative ammonta a circa 3 ore e mezza, che vengono facilmente annichilite da attività ordinarie come fare la spesa, cucinare, portare la macchina dal meccanico o roba simile. Per chi poi, come me, ha una famiglia, in queste 3 ore e mezza deve far rientrare anche il tempo che può dedicare alla propria moglie o ai figli. Decisamente troppo per così poco tempo!
A tal proposito, vale la pena di notare che nell’Ottocento un uomo difficilmente si occupava della cura dei figli, figuriamoci poi di cucinare o di fare la spesa o di altre faccende domestiche, quindi le sue ore di svago includevano sicuramente molte meno attività. Ma qui ci si addentra in altri e più spinosi problemi. Per tornare al mio conto, è evidente che 3 ore e mezza sono troppo poche per farci rientrare la propria vita extra-lavorativa. Fortunatamente si può ancora rosicchiare qualcosa alle 8 ore di sonno: le occhiaie si ispessiscono, la stanchezza si accumula, ma il fisico sembra reggere ancora. Che devo fare? Dormirò poi, quando avrò tempo.
Pur tuttavia in piena notte, quando mi getto stremato sul letto alla fine della giornata, mentre guardo la radiosveglia e penso a quante ore potrò dormire, c’è ancora un pensiero che mi tiene sveglio: ma siamo così sicuri che oggi si viva meglio di una manciata di decenni fa? che il tanto decantato benessere della nostra società corrisponda a una migliore qualità della vita? che possiamo ancora accettare regole scritte per una società che era completamente diversa dalla quella attuale?
Il dubbio è lecito, io credo. Ma forse un confronto non è possibile. Magari bisogna solo accettare che questo è il meglio che possiamo ottenere, pensare che indubbiamente c’è chi sta molto peggio. Eppure non riesco proprio a liberarmi dall’ironico pensiero che alla fine dei conti, forse, il mio trisavolo del XIX secolo aveva più tempo libero di me.