Archivio per la categoria ‘Piccoli e grandi problemi della vita’

Dopo un picco non si può fare altro che scendere

Dopo un picco non si può fare altro che scendere

Oggi è il solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno. Da domani il sole comincerà il suo lento ma inesorabile spostamento verso sud e ogni giorno sarà un pochino più corto di quello che l’ha preceduto.

È questo il problema con i vertici: quando raggiungi la vetta non puoi fare altro che scendere. La gente dice: da oggi comincia l’estate! Io penso: da oggi comincia la fine dell’estate, gli acquazzoni di metà agosto già si avvertono all’orizzonte.

Secondo una ricerca inglese (ovviamente!) l’età più felice della vita sono i 38 anni: si è ancora relativamente giovani ma solitamente si sono già ottenuti alcuni importanti obiettivi in ambito familiare e lavorativo; mediamente a questa età si ha un posto di lavoro stabile, una casa, magari una famiglia e dei figli (che ancora non sono entrati nel terribile periodo adolescenziale!), insomma ci si sente realizzati su diversi fronti e si è raggiunto un certo equilibrio interiore.

Pochi giorni fa ho compiuto 36 anni, ho  pensato: mi restano solo due anni prima dell’inizio del mio inevitabile declino.

È questo il problema con i vertici. Quanto aveva ragione Leopardi!

Un irresistibile piatto di patatine fritte

Un irresistibile piatto di patatine fritte

In questi tristi tempi di crisi, di diete e di salutismo può capitare di trovarsi a fare la spesa al supermercato, prendere in mano un pacchetto di patatine fritte e soffermarsi a pensare: lo compro?

E’ una domanda banale che presuppone una risposta altrettanto banale: si tratta certamente di un acquisto superfluo, mi farà ingrassare e nel suo piccolo contribuirà all’ostruzione delle mie arterie. La risposta ovvia è no, non lo compro.

Ma è davvero questa la vita? Limitarsi al necessario, allo stretto indispensabile per la sopravvivenza? Io non credo, no. Quando vado al supermercato, quando cucino, non lo faccio solo per nutrirmi. Gli animali mangiano per nutrirsi. Io voglio assaporare, voglio gustare, voglio assecondare le mie tentazioni. E’ nello straordinario, nell’extra, nei piccoli o grandi lussi che ci concediamo che risiede il piacere di vivere. Ciò che ci spinge ad andare avanti.

Si può sopravvivere mangiando insalata. Ma quello che ci tiene in vita non è l’insalata, è la costante attesa di aprire il prossimo pacchetto di patatine.

La suddivisione delle ore della giornata

La suddivisione delle ore della giornata

“8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 per dormire” era il motto dei movimenti sindacali nella seconda metà dell’Ottocento, la prima e più importante rivendicazione, che aprì la strada a tutte le altre battaglie per i diritti dei lavoratori, tuttora rievocate nella festa del Primo Maggio.

Ma questa regola aurea, questa salomonica divisione della giornata in un triangolo perfetto che coniuga l’attività sociale (il lavoro), le necessità fisiologiche (il sonno) e le attività ricreative (lo svago) può considerarsi ancora valida oggi?

Sarà che sono sempre stato un po’ ossessionato dal tempo, dalle lancette dell’orologio che corrono troppo troppo veloce rispetto alla mia vita, e allora così, per fare un esempio, mi sono messo a fare qualche conto sulla mia giornata-tipo, no anzi direi sulla mia giornata-ideale.

Il mio contratto prevede 8 ore di lavoro giornaliere. Ora, anche ammettendo il caso che io stia in ufficio esattamente 8 ore e non un minuto di più, bisogna considerare che non viviamo in un villaggio operaio dell’Ottocento e che oggigiorno in una qualsiasi città di media dimensione ci sono dei tempi di trasporto non trascurabili nella giornata di una persona (nelle metropoli la situazione è ovviamente ancora peggiore). Nella maggior parte dei casi questi tempi di trasporto rendono del tutto inverosimile la possibilità di tornare a casa durante la pausa pranzo (obbligatoria), pertanto il risultato finale è che l’attività lavorativa di fatto consuma 9 ore in una giornata, sebbene 1 ora sia dedicata al pranzo (ma non venitemi a dire che è un’ora di svago, specialmente incastrata com’è tra 4 e 4 ore di lavoro lontano da casa!).

Nel mio particolare caso (ma sono sicuro che non è affatto il caso peggiore, dato che ho la fortuna di lavorare nella stessa città nella quale vivo) impiego 45 minuti per percorrere il tragitto tra la mia casa e il mio luogo di lavoro. Sinceramente, così come l’ora del pranzo, non posso considerare uno svago personale questa ora e mezzo che perdo ogni giorno, dato che si tratta di tempo che io impiego in funzione del mio lavoro (se non dovessi andare al lavoro, potrei usare quell’ora e mezza per altre cose).

Il risultato è che nella mia giornata l’attività lavorativa si mangia in totale 10 ore e mezza, ovvero una quantità che si avvicina molto di più alla metà che ad un terzo della giornata. Questo, se la matematica non è un’opinione, riduce il tempo che posso dedicare allo svago a 5 ore e mezza. Svago che, tenderei a precisare, comprende operazioni come lavarsi, vestirsi, fare colazione, cenare, che da sole si portano via almeno 2 ore. Sicuramente in questo caso si tratta di tempo mio personale, però sfido chiunque a considerare la colazione uno “svago”! Questo significa che il reale tempo che posso dedicare ad attività ricreative ammonta a circa 3 ore e mezza, che vengono facilmente annichilite da attività ordinarie come fare la spesa, cucinare, portare la macchina dal meccanico o roba simile. Per chi poi, come me, ha una famiglia, in queste 3 ore e mezza deve far rientrare anche il tempo che può dedicare alla propria moglie o ai figli. Decisamente troppo per così poco tempo!

A tal proposito, vale la pena di notare che nell’Ottocento un uomo difficilmente si occupava della cura dei figli, figuriamoci poi di cucinare o di fare la spesa o di altre faccende domestiche, quindi le sue ore di svago includevano sicuramente molte meno attività. Ma qui ci si addentra in altri e più spinosi problemi. Per tornare al mio conto, è evidente che 3 ore e mezza sono troppo poche per farci rientrare la propria vita extra-lavorativa. Fortunatamente si può ancora rosicchiare qualcosa alle 8 ore di sonno: le occhiaie si ispessiscono, la stanchezza si accumula, ma il fisico sembra reggere ancora. Che devo fare? Dormirò poi, quando avrò tempo.

Pur tuttavia in piena notte, quando mi getto stremato sul letto alla fine della giornata, mentre guardo la radiosveglia e penso a quante ore potrò dormire, c’è ancora un pensiero che mi tiene sveglio: ma siamo così sicuri che oggi si viva meglio di una manciata di decenni fa? che il tanto decantato benessere della nostra società corrisponda a una migliore qualità della vita? che possiamo ancora accettare regole scritte per una società che era completamente diversa dalla quella attuale?

Il dubbio è lecito, io credo. Ma forse un confronto non è possibile. Magari bisogna solo accettare che questo è il meglio che possiamo ottenere, pensare che indubbiamente c’è chi sta molto peggio. Eppure non riesco proprio a liberarmi dall’ironico pensiero che alla fine dei conti, forse, il mio trisavolo del XIX secolo aveva più tempo libero di me.

La locandina del film "Ridicule" (1996)

La locandina del film "Ridicule" (1996)

Recentemente mi sono imbattuto in un tutorial che fornisce alcuni consigli per avere un blog di successo. Il succo è che i blog devono avere una grafica accattivante, i post devono essere infarciti di elementi multimediali che carpiscano l’attenzione del navigatore distratto e annoiato, ma soprattutto i testi devono essere estremamente brevi, perché, in mancanza di una forte motivazione, un utente difficilmente si spinge oltre le prime righe. E’ solo con la battuta graffiante (vedi Spinoza, che spopola in rete), con la frase ad effetto messa come mood su Facebook che si riesce ad ottenere un po’ di attenzione. Continuando di questo passo quanto tempo passerà prima che il pensiero più profondo che riusciremo ad esprimere sarà una faccina sorridente o una faccina triste?

Ma davvero la nostra società si sta riducendo a condensare ogni concetto nei 140 caratteri di un tweet? Davvero siamo così superficiali da lasciarci attrarre solo dalla carta colorata del pacchetto, senza badare al suo contenuto? Davvero è solo con la boutade, con la battuta sagace che la propria opinione può emergere dall’enorme flusso di informazioni che quotidianamente ci sommerge?

Mi viene in mente un bel film francese visto qualche anno fa che si intitola “Ridicule”: è ambientato nel 1780 e racconta la storia di un marchese che, per ottenere i finanziamenti per bonificare le paludi nelle sue terre (causa di malattie che decimano la popolazione), si reca a Versailles, sperando di poter parlare con Luigi XVI. Ma scopre ben presto che la corte è un enorme e perverso giocattolo, nel quale ogni sua possibilità di esporre al re il proprio problema passa attraverso le arguzie, la risposta pronta e brillante e l’effimera popolarità che se ne riesce a ottenere. E, quando una clamorosa caduta durante un ballo in maschera gli preclude ogni possibilità di incontrare il re, il protagonista commenta amaramente: “Demain des enfants de chez moi vont mourir, et ils mourront de ce ridicule qui m’éclabousse aujourd’hui”.

La nuvola di Fantozzi

La nuvola di Fantozzi

E’ arrivata la primavera, carica di sole, di profumi e di radiazioni tossiche (!). Guardo malinconicamente il cielo azzurro dalla finestra dell’ufficio; quando, rientrando dal pranzo, devo barricarmi di nuovo in un edificio, di fronte a uno schermo, mi piange il cuore ad abbandonare questo caldo sole. Fortunatamente tra poco arriva il weekend e potrò godermi la mia parte di questo raggiante inizio di stagione…

Già, perché, dopo una settimana splendida come questa, sicuramente sarà bello anche nel weekend, sarebbe assurdo che cambiasse proprio nel fine settimana. La nuvola dell’impiegato è una leggenda inventata da Paolo Villaggio. Ma. Vediamo le previsioni del tempo: è previsto un peggioramento delle condizioni atmosferiche per il fine settimana!! Non posso crederci!!

Allora la nuvola dell’impiegato esiste! Non venite a raccontarmi che non è vero! Faccio una veloce ricerca su Google. Scopro che due accademici tedeschi, tali Baeumer e Vogel, hanno pubblicato nel 2007 uno studio che fornisce un fondamento scientifico a questa teoria: le variabili climatologiche seguono “un’inaspettata periodicità settimanale”.

Sono allibito. Controprova. Accedo a un database con i dati climatologici della città di Firenze dal 2000 a oggi; faccio una veloce ricerca raggruppando i dati in base al giorno della settimana. Incredibile: il giorno più piovoso in assoluto risulta essere la Domenica, seguito (a lunga distanza) dal Martedì e dal Sabato (quasi a parimerito), quindi (a molto lunga distanza) seguono gli altri giorni!

Baeumer e Vogel parlano di una periodicità “inaspettata”, perché, ovviamente, la natura non conosce le settimane, sono un’invenzione umana. I due studiosi, in mancanza di altri elementi scientifici, sostengono che l’andamento sia dovuto in qualche modo alle attività umane e all’inquinamento. Mah. Alla fine è sempre vero che la Fortuna è cieca mentre la Sfiga ci vede benissimo. Forse questa periodicità non è poi così inaspettata.

In crisi

Pubblicato: 14 gennaio 2011 in Piccoli e grandi problemi della vita
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Crisis

Crisi: un'immagine è più eloquente di tante parole...

C’è la crisi, c’è la crisi. Lo si sente dire dappertutto, la televisione lo ripete ogni giorno, quindi sarà vero. Eppure la percezione generale è che non ci sia stato un grosso cambiamento negli ultimi anni, che tutto sommato le cose procedano come prima: i ristoranti sono pieni, i centri commerciali sono presi d’assalto ogni fine settimana e i nostri amici hanno sempre l’ultimo modello di cellulare.

Allora dov’è questa crisi? O meglio ancora, cos’è questa crisi? Se provi a fartelo spiegare ti parlano di mutui subprime, di tassi di interesse, di economie emergenti. Alla fine della spiegazione, a meno che tu non sia un nobel per l’economia, ne sai quanto prima (e ti punge il sospetto che anche quelli che cercano di spiegartelo brancolino nel buio come te, nonostante il grande sfoggio di termini tecnici).

L’economia e la crisi sono concetti volatili, impalpabili: se crolla un palazzo, se cede una diga sei subito in grado di valutare l’entità della tragedia, puoi vedere le macerie fumanti, l’acqua che si riversa nella vallata. Ma la crisi economica non la puoi vedere, non la puoi toccare e per questo spesso non riesci a comprenderla.

Ma poi un giorno passando per una via consueta vedi una serranda abbassata, vedi il volto tirato di un amico, vedi una crepa sulla facciata di un edificio. E allora tutti quei complicatissimi concetti che hanno cercato invano di spiegarti vengono spazzati via in un istante: capisci che quella serranda, quel volto, quella crepa sono la crisi. E improvvisamente non è più una cosa distante e complicata di cui parla il telegiornale, ma è qualcosa che è lì, nella tua vita quotidiana, subdolamente.

Un venditore di almanacchi

Un venditore di almanacchi

La notte di San Silvestro rinnoviamo un antico rito di passaggio: come il dio Giano bifronte, da un lato volgiamo lo sguardo verso l’anno vecchio che si conclude, facendo inevitabilmente un bilancio di quello che di buono o cattivo ci ha portato, dall’altro guardiamo al nuovo anno pieni di speranza, festeggiando perché la fine coincinde con un nuovo inizio.

E questo passaggio, unito alla necessità tipicamente umana di catalogare le cose, ci dà l’impressione che in questi giorni il flusso del tempo si interrompa, che ogni anno sia come una scatola separata dalle altre, che può contenere gioie o dolori a seconda dei capricci della fortuna: chi ha avuto una pessima annata gioisce al pensiero che sia terminata, chi ha vissuto un anno sereno si volge indietro con un sorriso, ma tutti hanno comunque il cuore colmo di speranze per il nuovo anno, che sicuramente sarà pieno e generoso.

Ma non appena si spegne l’eco dei fuochi artificiali, mentre l’aria è ancora impregnata dell’odore invadente della polvere da sparo, ecco che già ritroviamo la vecchia vita che ci attende alle nostre spalle, proprio nel punto in cui l’avevamo lasciata, incurante del cambio di data.

Beh, anche quest’anno è andata così, la vita prosegue come prima. Ma presto arriverà la svolta, la fortuna, tutto cambierà.

Magari il prossimo anno.

“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”
(Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere)

Il Bianconiglio e l'ansia del tempo che scorre

Il Bianconiglio e l'ansia del tempo che scorre

Spesso, specialmente nei periodi di maggiore stress, mi capita di provare una sgradevole sensazione, come se la vita stesse andando avanti senza di me, come se fossi rimasto indietro e, imitando il Coniglio Bianco di Alice, dovessi scappare con il mio orologio in mano gridando “E’ tardi! E’ tardi!”, pur sapendo che non sarò mai in grado di correre talmente veloce da poter recuperare il tempo perduto.

A lavoro le attività si accavallano, a casa c’è sempre qualcosa da accomodare, a Dicembre poi si aggiungono i regali di Natale da comprare, le scadenze da rispettare, mentre la lista delle cose da fare si allunga di continuo: non ne verrò mai a capo.

E, quando finalmente arriva il weekend e ho un po’ più di tempo per completare le mie attività, sono già stanco per tutto questo pensare e mi getto sul divano stremato: nel silenzio, si riesce a sentire l’orologio della stanza accanto che ticchetta, ticchetta…

Talete riflette sugli elementi

Talete riflette sugli elementi

Diciamoci la verità: nell’antica Mileto il clima non doveva essere particolarmente piovoso. Quando Talete indicava nell’acqua l’elemento supremo, il principio dell’intero universo, è facile immaginare una terra riarsa, nella quale la canicola estiva seccava ogni forma di vita: niente di più semplice che osservare che l’unico modo per far sopravvivere una pianta o un animale sotto il caldo sole anatolico era quello di dargli dell’acqua (quando sei agli albori di una civiltà non è che devi formulare dei pensieri eccezionalmente profondi per essere ricordato nei libri di storia!).

Per chi, invece, nell’Italia del XXI secolo, flagellata da mesi ininterrotti di pioggia (in barba alla fama di “paese del sole”), è costretto a subire lo stillicidio di una goccia d’acqua che si infiltra dal soffitto e che, dopo essere rimasta appesa per un tempo infinito, si libra infine nell’aria per infrangersi sul pavimento (o all’interno di una provvidenziale bacinella), l’acqua non appare poi un così straordinario e miracoloso elemento. Certo non si può contraddire Talete quando affermava che l’acqua origina la vita, anzi il pensiero ricorrre anche troppo spesso alle sue parole, quando vedi che la vita che si genera da quest’acqua un po’ troppo invadente prende l’aspetto colorato e peloso di uno strato maleodorante di muffa.

Non c’è modo di fermare l’acqua, mettete pure gli strati più spessi, i materiali più resistenti, ma statene certi: prima o poi il lento corrodere del liquido avrà la meglio sul più solido dei materiali. Gutta cavat lapidem, la goccia scava la roccia, dicevano gli antichi Romani, che abitavano invece nella nostra penisola: forse il clima non è poi cambiato così tanto in questi ultimi due millenni!