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Un venditore di almanacchi

Un venditore di almanacchi

La notte di San Silvestro rinnoviamo un antico rito di passaggio: come il dio Giano bifronte, da un lato volgiamo lo sguardo verso l’anno vecchio che si conclude, facendo inevitabilmente un bilancio di quello che di buono o cattivo ci ha portato, dall’altro guardiamo al nuovo anno pieni di speranza, festeggiando perché la fine coincinde con un nuovo inizio.

E questo passaggio, unito alla necessità tipicamente umana di catalogare le cose, ci dà l’impressione che in questi giorni il flusso del tempo si interrompa, che ogni anno sia come una scatola separata dalle altre, che può contenere gioie o dolori a seconda dei capricci della fortuna: chi ha avuto una pessima annata gioisce al pensiero che sia terminata, chi ha vissuto un anno sereno si volge indietro con un sorriso, ma tutti hanno comunque il cuore colmo di speranze per il nuovo anno, che sicuramente sarà pieno e generoso.

Ma non appena si spegne l’eco dei fuochi artificiali, mentre l’aria è ancora impregnata dell’odore invadente della polvere da sparo, ecco che già ritroviamo la vecchia vita che ci attende alle nostre spalle, proprio nel punto in cui l’avevamo lasciata, incurante del cambio di data.

Beh, anche quest’anno è andata così, la vita prosegue come prima. Ma presto arriverà la svolta, la fortuna, tutto cambierà.

Magari il prossimo anno.

“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”
(Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere)