Posts contrassegnato dai tag ‘vita’

Ringo Starr

Pubblicato: 7 aprile 2020 in Il Timido Ubriaco
Tag:,

Esco di casa per la spesa settimanale, in fila davanti al supermercato con la mia bandana sul viso (eh no, non ho una mascherina), mentre intorno a me riluce un’altra giornata splendida che non abbiamo potuto goderci, mentre il caldo sole di aprile illumina dei volti pallidi, tristi, alieni, incattiviti, privi di vita.

Impiego più di due ore per fare la spesa e mettere in macchina il mio carico di ghiande per un’altra settimana di isolamento. Poi accendo il motore ed esco di nuovo alla luce, fuori c’è ancora il sole che pigramente si avvia verso occidente, dal finestrino abbassato entra l’aria tiepida di una primavera precoce, la radio canta quella canzone stupida e divertente dei Pinguini Tattici Nucleari.

E per un momento, per un breve momento, ho voglia di sorridere di nuovo, di sentirmi leggero, felice di questo minuscolo squarcio di normalità, di avere ancora il sole e il vento sulla mia pelle, nelle narici il profumo dell’aria di aprile, il cielo azzurro sopra di me e davanti ancora la strada.

Mi vengono alla mente quegli incendi terribili, che sembrano non potersi spegnere mai, che crescono seminando morte e distruzione ovunque arrivino, che lasciano miseri monconi riarsi in un panorama desolato di carbone e cenere. Ma arriva il giorno in cui da uno di quei monconi solitari inaspettatamente si vede spuntare una minuscola gemma che preme per venire alla luce, piccolissima ma brillante e sfacciata nel suo verde sgargiante.

Non so se quella piccola gemma ce la farà, se riuscirà a sopravvivere o sarà soffocata da quell’ambiente avvelenato e ostile. Ma non importa. Per questa sera mi basta sapere che è lì, per questa sera mi piace solo guardare ancora una volta alla vita, alla luce, respirare profondamente il tramonto e pensare, nonostante tutto, contro ogni logica, che andrà tutto bene.

“C’è qualcosa nella fine dell’estate non so bene che cos’è / E non riesco a respirare”
(Baustelle, Il Vangelo di Giovanni)

 

Il doodle dedicato al primo giorno d'autunno

Il doodle dedicato al primo giorno d’autunno

Anche senza l’immancabile doodle non avremmo potuto dimenticare che oggi è il primo giorno d’autunno. Ce lo avrebbe ricordato l’aria leggera, cristallina, l’arancione del sole che scende troppo presto, i suoi raggi netti, precisi, che ci attraversano come frecce cariche di malinconia. Ce lo avrebbe detto quella sensazione di qualcosa che si conclude, di un altro anno che è passato, il ricordo consolante e spaventoso della nostra mancata immortalità.

Alle spalle ci restano i ricordi dell’estate: la sua luce e il suo calore ci avvolgono ancora mentre il crepuscolo intorno ci annuncia la nuova stagione, con i suoi cambiamenti, le sue incognite, le sue speranze e la remota promessa di una primavera ancora lontana.

E allora stasera, per combattere questo senso della fine, ho voluto far rinascere il blog così a lungo rimasto silenzioso, per ricordarmi che ogni epilogo racchiude in sé un nuovo inizio, che la vita è in continua trasformazione e che, nonostante tutto, sono ancora qui, ancora una volta a guardare l’orizzonte, con il cuore trepidante ad aspettare l’alba di domani.

 

Il Babau è tornato

Il Babau è tornato

Un giorno di due anni e mezzo fa sei uscita di casa con una sacca: dentro c’era un cambio, un asciugamano e il tuo cagnolino di peluche, il Babau lo chiamavi, da abbracciare per fare la nanna. Mi si stringeva il cuore a saperti per la prima volta lontana da noi, anche se solo per poche ore.

Sono passati tanti giorni da allora e tutti e due siano cresciuti, tu un po’ più grande, io un po’ più vecchio.

E ora, venendoti a prendere al nido per l’ultima volta, ho sentito un po’ di malinconia. Ho pensato che nella tua brave vita questo è il primo ciclo che si conclude, la prima porta sul passato che si chiude per sempre. Stai crescendo in fretta, sei già una bambina grande e io non ho avuto nemmeno il tempo di rendermene conto.

Ti guardo dormire e sento che mi stai sfuggendo, ogni attimo ti porta via, mi lasci indietro, il tuo papà non sa più correre veloce come un bambino.

È la vita che scorre, che fa uno dei suoi scatti, come è giusto che sia.
Il Babau è tornato a casa.

L'ossessione del tempo

L’ossessione del tempo

Scena Prima
Un mattino di luglio guardo l’orologio e, come faccio decine di volte nella mia giornata, esclamo: “E’ tardissimo!”. Mi alzo di scatto, abbandonando quel meraviglioso momento di intimità che unisce una famiglia al tavolo della colazione, e mi precipito verso il bagno. Poi sulla porta indugio, mi volto e dico a mia moglie, scherzando: “«E’ tardissimo!» è la storia della mia vita”.

Scena Seconda
Sto preparando la valigia per il mare. Che noia queste compagnie aeree che ti impongono anche un limite sul peso dei bagagli, oltre che sulle dimensioni! Devo assolutamente farci entrare il netbook, così magari durante le vacanze mi riesce di portare a termine qualcuna delle mille cose che sono nella mia lista delle cose da fare. Ma la bilancia non vuole saperne di collaborare. Non mi resta che sostituire le 654 pagine di Gao Xingjian con le 428 di Fred Vargas. Ryanair ci impone letture leggere!

Scena Terza
Nella casa del mare, mia figlia dorme, mia moglie anche. Fuori il sole piomba a picco sul cortile, nella canicola si sente solo il rumore costante del mulino, sovrastato dal verso delle tortore. Sarebbe il momento ideale per accendere il netbook e cominciare a spuntare le voci della mia lista delle cose da fare. Ma in fondo sono in vacanza, voglio rilassarmi, mi metterò a fare qualcosa quando torno a Firenze. Al momento sembra che la cosa più importante sia sapere cosa è successo a Herbier. Torno a Fred Vargas.

Epilogo
Primo giorno di lavoro dopo le ferie. Il suono della sveglia è un trauma, ritrovare la propria scrivania è facile, il difficile è ricordare che lavoro si faceva prima delle vacanze.
Lungo la strada mi viene in mente che prima della fine di agosto bisogna chiamare per il nido. E passare in banca, perché il bancomat scade il prossimo mese. E le foto? Non le stampiamo? Andrebbero riordinate, bisognerebbe scegliere quelle da portare al fotografo e poi sistemarle negli album. Ma non posso scaricarle tutte sul PC, il disco è già quasi pieno, bisogna fare un po’ di pulizia. Una di queste sere mi ci metto.

Settembre è alle porte, comincia un nuovo anno di lavoro. La lista delle mie cose da fare si è allungata un pochino di più, la vita mi ha lasciato ancora qualche passo più indietro.

Un irresistibile piatto di patatine fritte

Un irresistibile piatto di patatine fritte

In questi tristi tempi di crisi, di diete e di salutismo può capitare di trovarsi a fare la spesa al supermercato, prendere in mano un pacchetto di patatine fritte e soffermarsi a pensare: lo compro?

E’ una domanda banale che presuppone una risposta altrettanto banale: si tratta certamente di un acquisto superfluo, mi farà ingrassare e nel suo piccolo contribuirà all’ostruzione delle mie arterie. La risposta ovvia è no, non lo compro.

Ma è davvero questa la vita? Limitarsi al necessario, allo stretto indispensabile per la sopravvivenza? Io non credo, no. Quando vado al supermercato, quando cucino, non lo faccio solo per nutrirmi. Gli animali mangiano per nutrirsi. Io voglio assaporare, voglio gustare, voglio assecondare le mie tentazioni. E’ nello straordinario, nell’extra, nei piccoli o grandi lussi che ci concediamo che risiede il piacere di vivere. Ciò che ci spinge ad andare avanti.

Si può sopravvivere mangiando insalata. Ma quello che ci tiene in vita non è l’insalata, è la costante attesa di aprire il prossimo pacchetto di patatine.

La suddivisione delle ore della giornata

La suddivisione delle ore della giornata

“8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 per dormire” era il motto dei movimenti sindacali nella seconda metà dell’Ottocento, la prima e più importante rivendicazione, che aprì la strada a tutte le altre battaglie per i diritti dei lavoratori, tuttora rievocate nella festa del Primo Maggio.

Ma questa regola aurea, questa salomonica divisione della giornata in un triangolo perfetto che coniuga l’attività sociale (il lavoro), le necessità fisiologiche (il sonno) e le attività ricreative (lo svago) può considerarsi ancora valida oggi?

Sarà che sono sempre stato un po’ ossessionato dal tempo, dalle lancette dell’orologio che corrono troppo troppo veloce rispetto alla mia vita, e allora così, per fare un esempio, mi sono messo a fare qualche conto sulla mia giornata-tipo, no anzi direi sulla mia giornata-ideale.

Il mio contratto prevede 8 ore di lavoro giornaliere. Ora, anche ammettendo il caso che io stia in ufficio esattamente 8 ore e non un minuto di più, bisogna considerare che non viviamo in un villaggio operaio dell’Ottocento e che oggigiorno in una qualsiasi città di media dimensione ci sono dei tempi di trasporto non trascurabili nella giornata di una persona (nelle metropoli la situazione è ovviamente ancora peggiore). Nella maggior parte dei casi questi tempi di trasporto rendono del tutto inverosimile la possibilità di tornare a casa durante la pausa pranzo (obbligatoria), pertanto il risultato finale è che l’attività lavorativa di fatto consuma 9 ore in una giornata, sebbene 1 ora sia dedicata al pranzo (ma non venitemi a dire che è un’ora di svago, specialmente incastrata com’è tra 4 e 4 ore di lavoro lontano da casa!).

Nel mio particolare caso (ma sono sicuro che non è affatto il caso peggiore, dato che ho la fortuna di lavorare nella stessa città nella quale vivo) impiego 45 minuti per percorrere il tragitto tra la mia casa e il mio luogo di lavoro. Sinceramente, così come l’ora del pranzo, non posso considerare uno svago personale questa ora e mezzo che perdo ogni giorno, dato che si tratta di tempo che io impiego in funzione del mio lavoro (se non dovessi andare al lavoro, potrei usare quell’ora e mezza per altre cose).

Il risultato è che nella mia giornata l’attività lavorativa si mangia in totale 10 ore e mezza, ovvero una quantità che si avvicina molto di più alla metà che ad un terzo della giornata. Questo, se la matematica non è un’opinione, riduce il tempo che posso dedicare allo svago a 5 ore e mezza. Svago che, tenderei a precisare, comprende operazioni come lavarsi, vestirsi, fare colazione, cenare, che da sole si portano via almeno 2 ore. Sicuramente in questo caso si tratta di tempo mio personale, però sfido chiunque a considerare la colazione uno “svago”! Questo significa che il reale tempo che posso dedicare ad attività ricreative ammonta a circa 3 ore e mezza, che vengono facilmente annichilite da attività ordinarie come fare la spesa, cucinare, portare la macchina dal meccanico o roba simile. Per chi poi, come me, ha una famiglia, in queste 3 ore e mezza deve far rientrare anche il tempo che può dedicare alla propria moglie o ai figli. Decisamente troppo per così poco tempo!

A tal proposito, vale la pena di notare che nell’Ottocento un uomo difficilmente si occupava della cura dei figli, figuriamoci poi di cucinare o di fare la spesa o di altre faccende domestiche, quindi le sue ore di svago includevano sicuramente molte meno attività. Ma qui ci si addentra in altri e più spinosi problemi. Per tornare al mio conto, è evidente che 3 ore e mezza sono troppo poche per farci rientrare la propria vita extra-lavorativa. Fortunatamente si può ancora rosicchiare qualcosa alle 8 ore di sonno: le occhiaie si ispessiscono, la stanchezza si accumula, ma il fisico sembra reggere ancora. Che devo fare? Dormirò poi, quando avrò tempo.

Pur tuttavia in piena notte, quando mi getto stremato sul letto alla fine della giornata, mentre guardo la radiosveglia e penso a quante ore potrò dormire, c’è ancora un pensiero che mi tiene sveglio: ma siamo così sicuri che oggi si viva meglio di una manciata di decenni fa? che il tanto decantato benessere della nostra società corrisponda a una migliore qualità della vita? che possiamo ancora accettare regole scritte per una società che era completamente diversa dalla quella attuale?

Il dubbio è lecito, io credo. Ma forse un confronto non è possibile. Magari bisogna solo accettare che questo è il meglio che possiamo ottenere, pensare che indubbiamente c’è chi sta molto peggio. Eppure non riesco proprio a liberarmi dall’ironico pensiero che alla fine dei conti, forse, il mio trisavolo del XIX secolo aveva più tempo libero di me.

Un venditore di almanacchi

Un venditore di almanacchi

La notte di San Silvestro rinnoviamo un antico rito di passaggio: come il dio Giano bifronte, da un lato volgiamo lo sguardo verso l’anno vecchio che si conclude, facendo inevitabilmente un bilancio di quello che di buono o cattivo ci ha portato, dall’altro guardiamo al nuovo anno pieni di speranza, festeggiando perché la fine coincinde con un nuovo inizio.

E questo passaggio, unito alla necessità tipicamente umana di catalogare le cose, ci dà l’impressione che in questi giorni il flusso del tempo si interrompa, che ogni anno sia come una scatola separata dalle altre, che può contenere gioie o dolori a seconda dei capricci della fortuna: chi ha avuto una pessima annata gioisce al pensiero che sia terminata, chi ha vissuto un anno sereno si volge indietro con un sorriso, ma tutti hanno comunque il cuore colmo di speranze per il nuovo anno, che sicuramente sarà pieno e generoso.

Ma non appena si spegne l’eco dei fuochi artificiali, mentre l’aria è ancora impregnata dell’odore invadente della polvere da sparo, ecco che già ritroviamo la vecchia vita che ci attende alle nostre spalle, proprio nel punto in cui l’avevamo lasciata, incurante del cambio di data.

Beh, anche quest’anno è andata così, la vita prosegue come prima. Ma presto arriverà la svolta, la fortuna, tutto cambierà.

Magari il prossimo anno.

“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”
(Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere)