Doveva succedere prima o poi. Succede a tutte le coppie che divorziano, figuriamoci poi a loro: era inevitabile che un giorno avrebbero cercato l’uno nell’altra il capro espiatorio sul quale scaricare il dolore lacerante e inconsolabile della perdita di una figlia. Eppure fino a oggi mi era sembrato che Albano e Romina fossero riusciti a mantenere, anche nella separazione, una certa dignità, un pudore antico, che non appartiene al luccicante mondo dello spettacolo. Ora gli ex coniugi canterini hanno perso invece ogni freno inibitore e si lanciano pesantissime accuse dai salotti televisivi.
Un po’ mi fa tristezza. Non certo per la perdita artistica, anche se, come quasi tutti i nostri cantanti melodico-trash di quegli anni, erano circondati da un’aura quasi mitica di leggende metropolitane (“Ma guarda che in Svizzera sono famosissimi!”, “Qui da noi non se li fila nessuno, ma a Tokyo riempiono gli stadi”, eccetera). No, le liti mediatiche dei coniugi Carrisi mi intristiscono per un altro motivo: perché per me, come – credo – per tutte le persone cresciute tra gli anni 70 e 80, Albano e Romina rappresentavano la coppia mediatica perfetta, il trionfo dell’amore, delle gioie familiari: come non invidiare la loro intesa armoniosa mentre, sorridendo e in perfetto sincro, cantavano “Felicità”?
E invece adesso eccoli: invecchiati, rovinati, incattiviti, a parlare di droga e di percosse. Era tutto finto, ci avevano ingannato, il sogno è finito.
Nostalgia, nostalgia canaglia.