Archivio per giugno, 2011

Partenze

Pubblicato: 23 giugno 2011 in Il Timido Ubriaco
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Le partenze mi mettono sempre un po’ di tristezza: ci si saluta, si ride, si scherza, si fa finta che nulla sia cambiato. Eppure c’è come un’ombra, un peso che incombe, la consapevolezza che si tratta di una fine, quella sensazione di vuoto che ci sovrasta e che cerchiamo di ricacciare in fondo alla nostra coscienza come un boccone amaro.

Partenze che ho subito, partenze che ho imposto, in entrambi i casi per me è sempre difficile accettare il fatto che persone che hanno attraversato la mia vita improvvisamente non ne facciano più parte o che se ne allontanino, specialmente quando ho la lucidità di comprendere che un evento apparentemente banale segna la fine di un periodo, che le cose sono cambiate, che l’orologio della vita va solo e inesorabilmente in avanti.

Forse non è così per tutti, forse gli altri lasciano che le persone entrino ed escano dalla propria vita senza sentire il bisogno di salutarli, di rivolgere loro un sorriso e di ringraziarli per quello che ci hanno lasciato. Mi viene in mente una bella canzone dei Baustelle: “Gli spietati salgono sul treno e non ritornano mai più. Non sono come noi, perduti antichi eroi, noi due, che al binario ci diciamo addio.”.

Non mi diSgarbi

Pubblicato: 17 giugno 2011 in AcidaMente
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Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi (foto di torre.elena)

Devo ammetterlo: amo le persone un po’ eccessive, debordanti, che non hanno paura di esprimere le proprie opinioni anche quando sono palesemente e ostinatamente contrarie al pensiero comune. Nonostante ciò non ho mai potuto soffrire Vittorio Sgarbi, in parte perché è decisamente troppo pieno di sé per i miei gusti, ma soprattutto per la sua aggressività verbale e la sua inaccettabile maleducazione (nomen omen).

Eppure mi trovo perfettamente d’accordo con le sue recenti dichiarazioni in relazione all’allestimento del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, anzi si può dire che riflettano alla perferzione le mie idee sul mondo dell’arte: sono quindi rimasto molto meravigliato sentendole esprimere da un addetto ai lavori, seppure un personaggio abbastanza border-line.

Sgarbi descrive un “sistema autoreferenziale, ignorante e ridicolo” sostenuto dai critici, dai mercanti d’arte e da una serie di facoltosi acquirenti (si scaglia in particolare contro quelli appartenenti al mondo della moda) che trasformano l’arte in qualcosa di elitario, di lontano dal sentire comune, osannato dal mondo modaiolo e dagli intellettualoidi radical-chic: “Un’arte inventata di sana pianta dalla moda e dal mercato internazionale. Un’arte di fumo, sostenuta da Prada, Trussardi, Fendi”, ovvero da quella “moda che parla di maestri, ma se non hanno una K o una H nel nome, meglio se in fondo, non li espongono nemmeno”. I riferimenti (negativi) abbondano, si va dal contestatissimo Damien Hirst al provocatorio Maurizio Cattelan, per scagliarsi apertamente contro l’installazione di Anish Kapoor nella Basilica di San Giorgio, in corso a Venezia: artisti “imposti dalla mafia autentica dei mercanti, dai collezionisti che pagano e stabiliscono il valore di questo o quell’altro personaggio, il quale poi mette un soffione nella chiesa di Palladio e tutti «Che bello! Che bello!»: una cagata invereconda!”. Seppur con i suoi toni sempre un po’ sopra le righe, insomma, Sgarbi apre un tema importante, che mi sta molto a cuore: l’arte dovrebbe tornare ad avere un rapporto più stretto con la gente, non solo con gli addetti ai lavori, cito ancora Sgarbi: le persone “come hanno un parere sul cinema dovrebbero avere un parere sull’arte; se non hanno un parere sull’arte, è colpa dell’arte” perché l’arte “non deve essere degli specialisti, l’arte è per tutti”.

Quanti anni hai stasera?

Pubblicato: 8 giugno 2011 in Il Timido Ubriaco
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Gli anni

Gli anni

La gente non mi crede quando dico che non so esattamente quanti anni ho, pensa che sia una battuta, che voglia darmi un’aria da persona stravagante; invece è la pura verità, nel senso che ho un’idea abbastanza approssimata della mia età, diciamo che so di trovarmi nella prima o nella seconda metà di un certo decennio, ma se qualcuno mi rivolge la domanda a bruciapelo, non mi affido mai alla memoria, ma calcolo al volo la differenza tra l’anno corrente e quello della mia nascita.

Con la miriade di dati, codici, password che dobbiamo quotidianamente ricordare, mi domando le altre persone come facciano a tenere a mente anche un’informazione del genere, così mutevole da cambiare dopo appena un anno e così inutile da non servire praticamente a nulla, almeno se si appartiene alla fascia d’età che va dai 18 (la fatidica soglia!) ai 65 anni (l’altra agognata soglia, quando avremo sconti e accessi gratuiti per musei, spettacoli e trasporti).

Sarà per questo che ho un’idea distorta delle mie età trascorse: è sufficiente che in un anno nessuno mi chieda quanti anni ho e in pratica è come se una certa età io non l’avessi mai avuta. Ad esempio, non ricordo di aver mai avuto 20 anni né 25 né 26, eppure mi ricordo di aver avuto 19 anni, i 21 e i 23 li ho avuti per una vita, mentre i 28 sono durati poco. E più si va avanti, meno riesco ad avere consapevolezza dei miei anni. Ormai mi sono rassegnato a questa mia deviazione mentale e mi convinco sempre di più che, se un giorno arriverò finalmente all’ambito traguardo dell’età degli sconti, mi domanderò meravigliato: “Cosa? Ho 65 anni? Ma se fino a ieri ne avevo solamente 30!”.