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Scaglie colorate

Scaglie colorate

Nel più antico dei calendari romani il nuovo anno cominciava nel mese di marzo, ovvero con l’inizio della primavera. Da allora, l’idea che la primavera scandisca il passaggio del tempo ha attraversato indenne i millenni e tre riforme del calendario (il 1° gennaio è stato definitivamente imposto come inizio ufficiale del nuovo anno solo all’alba del XVIII secolo), al punto che ancora oggi la parola “primavere” si usa per indicare l’età di una persona.

E così, alla soglia delle mie trentasei primavere, finalmente riesco a trovare il tempo di tornare al mio blog, abbandonato da mesi. Scorro la cronologia e mi accorgo che dodici mesi fa è successa la stessa cosa: a quanto pare il mio blog muore all’inizio di ogni primavera e risorge inspiegabilmente prima dell’estate.

Sarà che la bella stagione mi tiene lontano dal computer, mi spinge a uscire, a trascorrere il tempo fuori casa, ed è un po’ come se volessi recuperare le occasioni perdute durante l’inverno, sono pieno di idee, di voglia di fare, di posti dove andare, come al risveglio dopo un lungo letargo.

Purtroppo però, come sempre, ci sono mille altri impegni e pensieri molto più prosaici a cui badare: la dichiarazione dei redditi, il condominio, il bollo e l’assicurazione dell’auto, eccetera eccetera eccetera. E poi naturalmente ci sono gli imprevisti. Sì, perché gli imprevisti ci sono sempre, al punto che ormai non si possono nemmeno più definire imprevisti: la coda dell’inverno lascia sempre nell’aria qualche virus particolarmente aggressivo, che immancabilmente trova un’ospite accogliente nel corpo di mia figlia. Ma non solo nel suo. Lei almeno ha la scusa del sistema immunitario ancora acerbo, ma non passa una primavera senza che io stesso contragga qualche tipo di malattia, un fortissimo raffreddore, un mal di gola o altro ancora. E’ come se il mio corpo si abbandonasse, solo per un momento, stanco, sfinito. Come se si lasciasse andare in balia delle malattie, dell’ambiente, dei malesseri fisici e psichici. Ed è come se da questa devastazione uscissi ripulito, rinnovato, pronto ad affrontare altri dodici mesi, rinato, come un serpente che abbandona la vecchia pelle e sfodera le sue nuove, scintillanti scaglie colorate.

La primavera è arrivata. Mi sento un pochino più vecchio. Cammino per la strada, il sole di maggio mi coccola nel suo caldo abbraccio. Le nuvole si allontanano all’orizzonte. Chiudo gli occhi, inspiro l’aria carica di profumi. E sorrido.

L'ossessione del tempo

L’ossessione del tempo

Scena Prima
Un mattino di luglio guardo l’orologio e, come faccio decine di volte nella mia giornata, esclamo: “E’ tardissimo!”. Mi alzo di scatto, abbandonando quel meraviglioso momento di intimità che unisce una famiglia al tavolo della colazione, e mi precipito verso il bagno. Poi sulla porta indugio, mi volto e dico a mia moglie, scherzando: “«E’ tardissimo!» è la storia della mia vita”.

Scena Seconda
Sto preparando la valigia per il mare. Che noia queste compagnie aeree che ti impongono anche un limite sul peso dei bagagli, oltre che sulle dimensioni! Devo assolutamente farci entrare il netbook, così magari durante le vacanze mi riesce di portare a termine qualcuna delle mille cose che sono nella mia lista delle cose da fare. Ma la bilancia non vuole saperne di collaborare. Non mi resta che sostituire le 654 pagine di Gao Xingjian con le 428 di Fred Vargas. Ryanair ci impone letture leggere!

Scena Terza
Nella casa del mare, mia figlia dorme, mia moglie anche. Fuori il sole piomba a picco sul cortile, nella canicola si sente solo il rumore costante del mulino, sovrastato dal verso delle tortore. Sarebbe il momento ideale per accendere il netbook e cominciare a spuntare le voci della mia lista delle cose da fare. Ma in fondo sono in vacanza, voglio rilassarmi, mi metterò a fare qualcosa quando torno a Firenze. Al momento sembra che la cosa più importante sia sapere cosa è successo a Herbier. Torno a Fred Vargas.

Epilogo
Primo giorno di lavoro dopo le ferie. Il suono della sveglia è un trauma, ritrovare la propria scrivania è facile, il difficile è ricordare che lavoro si faceva prima delle vacanze.
Lungo la strada mi viene in mente che prima della fine di agosto bisogna chiamare per il nido. E passare in banca, perché il bancomat scade il prossimo mese. E le foto? Non le stampiamo? Andrebbero riordinate, bisognerebbe scegliere quelle da portare al fotografo e poi sistemarle negli album. Ma non posso scaricarle tutte sul PC, il disco è già quasi pieno, bisogna fare un po’ di pulizia. Una di queste sere mi ci metto.

Settembre è alle porte, comincia un nuovo anno di lavoro. La lista delle mie cose da fare si è allungata un pochino di più, la vita mi ha lasciato ancora qualche passo più indietro.

Saturno divora i suoi figli nell'inquietante versione dipinta da Goya

Saturno divora i suoi figli nell’inquietante versione dipinta da Goya

Racconta il mito che il dio Crono (Saturno per i Romani), avendo saputo da una profezia che sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli, pensò bene di mettersi al riparo dal destino in un modo pratico, efficace e per nulla cruento, ovvero divorando i propri figli via via che sua moglie Rea li partoriva. Quest’ultima, però, inspiegabilmente insoddisfatta della situazione, decise di mettergli i bastoni tra le ruote e gli nascose l’ultimo figlio, Zeus, che, una volta divenuto adulto, effettivamente spodestò il padre e lo fece rinchiudere per l’eternità (l’ergastolo è un casino quando sei immortale!). Significativo il fatto che Crono per gli antichi Greci fosse anche la personificazione del Tempo che, guardacaso, finisce per ingoiare tutto ciò che genera.

Un antico mito che parla del Tempo e della paternità. Io personalmente, pur avendo una figlia piccola, ho altri gusti gastronomici, ma devo dire che il Tempo è per me un argomento strettamente correlato all’essere genitore. Con un bambino piccolo c’è sempre una montagna di cose da fare: cene da preparare, pannolini da cambiare, biberon da scaldare, ma soprattutto l’attività principale che consiste nel cercare di arginare l’innata e inconsapevole tendenza all’autodistruzione che si sviluppa in ogni bambino non appena ha la possibilità di muoversi autonomamente.

E fin qui mi riferisco alla normalità, cioè quando le condizioni sono ottimali: il bimbo sta bene, non ci sono dentini che spuntano, mangia regolarmente, dorme un certo numero di ore al giorno e la Luna in trigono con Mercurio determina una congiunzione astrale favorevole. Se invece malauguratamente gli avversi numi perturbano questo precarissimo equilibrio, ci si rende conto di come anche solo un banale mal di gola possa mettere in crisi un’intera famiglia: nottate trascorse a passeggiare per la casa al buio, giornate di sole chiusi in casa in una quarantena forzata, la ricerca affannosa di un medico o almeno di una farmacia aperta (dato che l’apice di ogni malattia si tocca sempre durante i fine settimana). L’effetto collaterale è che il poco, pochissimo tempo che un genitore può dedicare a se stesso in una giornata (a leggere un libro, a guardere la TV o magari a scrivere un post sul proprio blog) viene completamente azzerato per giorni, a volte per settimane intere.

Poi fortunatamente il bimbo guarisce, sta di nuovo bene. Se per caso la Luna nel frattempo è tornata in trigono con Mercurio magari si ha persino la fortuna che nessuno dei due genitori sia stato contagiato dal bacillo (di norma particolarmente virulento) che aveva causato il malessere del bambino. La situazione insomma sembra tornata alla normalità. Ecco, sembra. Perché in realtà nel frattempo la vita è andata avanti di giorni o magari di settimane, lasciandoci indietro, sempre più indietro.

“Chi è che ha ingoiato il mio tempo?” mi domando. E giurerei di sentire un ruttino emergere dalla culla accanto al mio letto. Il figlio che divora il tempo del padre. Oplà. Signori, il mito è ribaltato.

La suddivisione delle ore della giornata

La suddivisione delle ore della giornata

“8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 per dormire” era il motto dei movimenti sindacali nella seconda metà dell’Ottocento, la prima e più importante rivendicazione, che aprì la strada a tutte le altre battaglie per i diritti dei lavoratori, tuttora rievocate nella festa del Primo Maggio.

Ma questa regola aurea, questa salomonica divisione della giornata in un triangolo perfetto che coniuga l’attività sociale (il lavoro), le necessità fisiologiche (il sonno) e le attività ricreative (lo svago) può considerarsi ancora valida oggi?

Sarà che sono sempre stato un po’ ossessionato dal tempo, dalle lancette dell’orologio che corrono troppo troppo veloce rispetto alla mia vita, e allora così, per fare un esempio, mi sono messo a fare qualche conto sulla mia giornata-tipo, no anzi direi sulla mia giornata-ideale.

Il mio contratto prevede 8 ore di lavoro giornaliere. Ora, anche ammettendo il caso che io stia in ufficio esattamente 8 ore e non un minuto di più, bisogna considerare che non viviamo in un villaggio operaio dell’Ottocento e che oggigiorno in una qualsiasi città di media dimensione ci sono dei tempi di trasporto non trascurabili nella giornata di una persona (nelle metropoli la situazione è ovviamente ancora peggiore). Nella maggior parte dei casi questi tempi di trasporto rendono del tutto inverosimile la possibilità di tornare a casa durante la pausa pranzo (obbligatoria), pertanto il risultato finale è che l’attività lavorativa di fatto consuma 9 ore in una giornata, sebbene 1 ora sia dedicata al pranzo (ma non venitemi a dire che è un’ora di svago, specialmente incastrata com’è tra 4 e 4 ore di lavoro lontano da casa!).

Nel mio particolare caso (ma sono sicuro che non è affatto il caso peggiore, dato che ho la fortuna di lavorare nella stessa città nella quale vivo) impiego 45 minuti per percorrere il tragitto tra la mia casa e il mio luogo di lavoro. Sinceramente, così come l’ora del pranzo, non posso considerare uno svago personale questa ora e mezzo che perdo ogni giorno, dato che si tratta di tempo che io impiego in funzione del mio lavoro (se non dovessi andare al lavoro, potrei usare quell’ora e mezza per altre cose).

Il risultato è che nella mia giornata l’attività lavorativa si mangia in totale 10 ore e mezza, ovvero una quantità che si avvicina molto di più alla metà che ad un terzo della giornata. Questo, se la matematica non è un’opinione, riduce il tempo che posso dedicare allo svago a 5 ore e mezza. Svago che, tenderei a precisare, comprende operazioni come lavarsi, vestirsi, fare colazione, cenare, che da sole si portano via almeno 2 ore. Sicuramente in questo caso si tratta di tempo mio personale, però sfido chiunque a considerare la colazione uno “svago”! Questo significa che il reale tempo che posso dedicare ad attività ricreative ammonta a circa 3 ore e mezza, che vengono facilmente annichilite da attività ordinarie come fare la spesa, cucinare, portare la macchina dal meccanico o roba simile. Per chi poi, come me, ha una famiglia, in queste 3 ore e mezza deve far rientrare anche il tempo che può dedicare alla propria moglie o ai figli. Decisamente troppo per così poco tempo!

A tal proposito, vale la pena di notare che nell’Ottocento un uomo difficilmente si occupava della cura dei figli, figuriamoci poi di cucinare o di fare la spesa o di altre faccende domestiche, quindi le sue ore di svago includevano sicuramente molte meno attività. Ma qui ci si addentra in altri e più spinosi problemi. Per tornare al mio conto, è evidente che 3 ore e mezza sono troppo poche per farci rientrare la propria vita extra-lavorativa. Fortunatamente si può ancora rosicchiare qualcosa alle 8 ore di sonno: le occhiaie si ispessiscono, la stanchezza si accumula, ma il fisico sembra reggere ancora. Che devo fare? Dormirò poi, quando avrò tempo.

Pur tuttavia in piena notte, quando mi getto stremato sul letto alla fine della giornata, mentre guardo la radiosveglia e penso a quante ore potrò dormire, c’è ancora un pensiero che mi tiene sveglio: ma siamo così sicuri che oggi si viva meglio di una manciata di decenni fa? che il tanto decantato benessere della nostra società corrisponda a una migliore qualità della vita? che possiamo ancora accettare regole scritte per una società che era completamente diversa dalla quella attuale?

Il dubbio è lecito, io credo. Ma forse un confronto non è possibile. Magari bisogna solo accettare che questo è il meglio che possiamo ottenere, pensare che indubbiamente c’è chi sta molto peggio. Eppure non riesco proprio a liberarmi dall’ironico pensiero che alla fine dei conti, forse, il mio trisavolo del XIX secolo aveva più tempo libero di me.

Lezioni di piano

Pubblicato: 14 luglio 2011 in Il Timido Ubriaco
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Lezioni di piano

Lezioni di piano

Leggendo il post di un’amica che racconta la sua esperienza nel mondo della danza classica, mi sono tornate in mente, per analogia, le lezioni di piano che prendevo quando ero ragazzo. Mia madre mi aveva proposto di cominciare a suonare, forse per ammortizzare il costo dello strumento che era stato acquistato per mio fratello. Dovevo avere più o meno 9 anni ed ero affascinato dalla melodia di “Per Elisa” che mio fratello riusciva magicamente a far uscire da quel grande cassone nero di legno. Pensavo che un giorno sarei stato in grado di suonarla anch’io. Devo ammettere poi che ero emozionato all’idea di scoprire cosa succedeva davvero nella nostra sala quando veniva il maestro e si chiudeva con mio fratello nella stanza, mentre io, dall’esterno, riuscivo a malapena a sentire le loro voci, coperte dal suono del pianoforte, e a intuire i movimenti attraverso il vetro smerigliato della porta.

Ovviamente in quel momento non mi rendevo affatto conto che il mio timido assenso avrebbe implicato anni di studio del solfeggio, un’infinità di noiosissime scale ascendenti e discendenti, e naturalmente esercizi su esercizi che avrei sempre portato avanti svogliatamente, senza troppa passione. Se ripenso a quei libri che prendevano la polvere sul leggio del pianoforte, a quei pezzi studiati frettolosamente nei 10 minuti prima della lezione ho la netta sensazione di aver sprecato un’opportunità. Mi sembra incredibile pensare che c’era un tempo in cui tutto ciò che dovevo fare era studiare: musica, storia, letteratura, matematica, fisica. Ma naturalmente a quell’età ogni cosa era più interessante dei libri scolastici e del pentagramma, così non facevo che il minimo indispensabile (che, devo ammetterlo, era veramente poco: in effetti non ricordo di aver mai avuto bisogno di studiare granché prima dell’Università).

E invece una volta diventato adulto, adesso che, tra lavoro, casa e famiglia, è difficile persino riuscirsi a ritagliare il tempo di leggere un romanzo, ora mi piacerebbe poter avere il tempo e l’occasione di studiare, colmare le mie lacune, imparare cose nuove, avere l’opportunità di suonare ancora il piano. Ma ora è impossibile. Peccato. L’attimo è fuggito.

Ho studiato pianoforte per 6 anni e durante tutto questo tempo non ho mai suonato “Per Elisa”. Solo molti anni dopo, da solo, un giorno ho preso in mano lo spartito e ho cominciato a studiare, a studiare, a studiare, quello e altri brani che mi piacevano, solo per il mio piacere, con una passione e una tenacia mai avute prima. Ma è stata una breve primavera: ero già all’Università, il tempo ormai correva veloce, trascinando con sé i ricordi delle vecchie lezioni, la tecnica così faticosamente appresa e l’agilità delle dita.
Decisamente, la vita è strutturata male.

Crowds, Florence

Folla agli Uffizi (Crowds, Florence di Steve's Wildlife, su Flickr)

Stamani, dovendo fare alcune commissioni, ho preso un paio d’ore di permesso e sono uscito per le strade di Firenze, illuminate da una radiosa giornata di maggio. Sono sempre un po’ euforico quando, in un giorno feriale, vado in giro anziché essere al lavoro, c’è come un’aria di vacanza.

La città in questi giorni è presa d’assalto dai turisti: attraversare Piazza della Signoria è un’impresa non da poco, procedo costantemente sotto il fuoco incrociato di centinaia di macchine fotografiche, che, loro malgrado, porteranno la mia immagine in giro per il mondo: in Germania, negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone. Quando possibile cerco di evitare le strade più frequentate dal turismo di massa: a Firenze molte volte è sufficiente spostarsi di pochi metri in una via parallela per trovarsi immersi in un’irreale e meravigliosa solitudine.

Ma non stamattina. Stranamente, anche le strade più dimesse brulicano di persone. Ma in effetti in queste strade non ci sono turisti, è gente che vive a Firenze, che va all’ufficio postale o in un negozio o a prendere un caffè o semplicemente fa una passeggiata e si gode la bellissima giornata. Sono persone di tutte le età: ragazzi (ma non vanno a scuola?), giovani (ma non lavorano? non vanno alle lezioni universitarie?), uomini e donne di mezza età (impossibile che siano già in pensione) e ovviamente anziani (l’unica categoria che sarebbe legittimata a essere a zonzo a quest’ora).

Cosa fanno queste persone nella vita? Io voglio saperlo. Mi sarebbe venuta voglia di fermarli uno a uno e chiedere: scusi, ma Lei non lavora? Cosa fa in giro a quest’ora? Dove va?
Ma poi ho pensato che forse non era il caso e che in fondo loro potrebbero chiedere la stessa cosa a me: mi sono accontentato di godermi il sole e la città e poi, inevitabilmente, sono rientrato a malincuore in ufficio, cercando di convincermi che solitamente non è così, che quello di oggi è stato solo un caso e che di solito, mentre io sono a lavorare sotto un freddo neon, le strade della città siano un deserto groviglio di asfalto, attraversato solo raramente dal passo incerto di un anziano che si ferma ad accarezzare un gatto randagio.

Il Bianconiglio e l'ansia del tempo che scorre

Il Bianconiglio e l'ansia del tempo che scorre

Spesso, specialmente nei periodi di maggiore stress, mi capita di provare una sgradevole sensazione, come se la vita stesse andando avanti senza di me, come se fossi rimasto indietro e, imitando il Coniglio Bianco di Alice, dovessi scappare con il mio orologio in mano gridando “E’ tardi! E’ tardi!”, pur sapendo che non sarò mai in grado di correre talmente veloce da poter recuperare il tempo perduto.

A lavoro le attività si accavallano, a casa c’è sempre qualcosa da accomodare, a Dicembre poi si aggiungono i regali di Natale da comprare, le scadenze da rispettare, mentre la lista delle cose da fare si allunga di continuo: non ne verrò mai a capo.

E, quando finalmente arriva il weekend e ho un po’ più di tempo per completare le mie attività, sono già stanco per tutto questo pensare e mi getto sul divano stremato: nel silenzio, si riesce a sentire l’orologio della stanza accanto che ticchetta, ticchetta…