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Google StreetView

Google StreetView

Come ipnotizzato, continuo a navigare con StreetView attraverso le strade della cittadina nella quale sono nato e dove ho trascorso i primi vent’anni della mia vita. Sembra incredibile veder passare sullo schermo del PC quelle vie che ho percorso mille volte, quei palazzi di cui conosco ogni crepa, ogni dettaglio, quei negozi di cui ricordo le vetrine, gli scaffali, il viso del commesso dietro al bancone.

Non ho mai rimpianto di essermene andato, anzi ogni volta che mi guardo indietro sono sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta. Ma inevitabilmente quei luoghi, quelle strade, quei muri scrostati conservano un mondo di ricordi: i lunghi e accecanti pomeriggi dell’infanzia, le gelide sere d’inverno passate a chiacchierare in piazza, e poi ancora i giorni della scuola, le strade silenziose, l’odore di umido delle botteghe e quello di legna bruciata dei camini, lo sguardo sul fiume veloce che accarezza dolcemente la città, la mente a sognare luoghi lontani.

No, non rimpiango di essermene andato. Anzi, guardando le immagini scorrere sullo schermo mi rendo conto che questo posto per me è diventato un po’ come un cimitero. Un cimitero non è certo un luogo nel quale puoi vivere, eppure di tanto in tanto senti il bisogno di doverci tornare e magari in alcune circostanze, durante una breve visita, può anche comunicarti un senso di pace, restituirti per qualche istante quella tranquillità che hai perduto, ma più di ogni altra cosa è un monumento alla memoria, un tempio che racchiude i tuoi ricordi, l’immagine sbiadita della tua vita passata.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

(Cesare Pavese, La luna e i falò)

Quanti anni hai stasera?

Pubblicato: 8 giugno 2011 in Il Timido Ubriaco
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Gli anni

Gli anni

La gente non mi crede quando dico che non so esattamente quanti anni ho, pensa che sia una battuta, che voglia darmi un’aria da persona stravagante; invece è la pura verità, nel senso che ho un’idea abbastanza approssimata della mia età, diciamo che so di trovarmi nella prima o nella seconda metà di un certo decennio, ma se qualcuno mi rivolge la domanda a bruciapelo, non mi affido mai alla memoria, ma calcolo al volo la differenza tra l’anno corrente e quello della mia nascita.

Con la miriade di dati, codici, password che dobbiamo quotidianamente ricordare, mi domando le altre persone come facciano a tenere a mente anche un’informazione del genere, così mutevole da cambiare dopo appena un anno e così inutile da non servire praticamente a nulla, almeno se si appartiene alla fascia d’età che va dai 18 (la fatidica soglia!) ai 65 anni (l’altra agognata soglia, quando avremo sconti e accessi gratuiti per musei, spettacoli e trasporti).

Sarà per questo che ho un’idea distorta delle mie età trascorse: è sufficiente che in un anno nessuno mi chieda quanti anni ho e in pratica è come se una certa età io non l’avessi mai avuta. Ad esempio, non ricordo di aver mai avuto 20 anni né 25 né 26, eppure mi ricordo di aver avuto 19 anni, i 21 e i 23 li ho avuti per una vita, mentre i 28 sono durati poco. E più si va avanti, meno riesco ad avere consapevolezza dei miei anni. Ormai mi sono rassegnato a questa mia deviazione mentale e mi convinco sempre di più che, se un giorno arriverò finalmente all’ambito traguardo dell’età degli sconti, mi domanderò meravigliato: “Cosa? Ho 65 anni? Ma se fino a ieri ne avevo solamente 30!”.