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Saturno divora i suoi figli nell'inquietante versione dipinta da Goya

Saturno divora i suoi figli nell’inquietante versione dipinta da Goya

Racconta il mito che il dio Crono (Saturno per i Romani), avendo saputo da una profezia che sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli, pensò bene di mettersi al riparo dal destino in un modo pratico, efficace e per nulla cruento, ovvero divorando i propri figli via via che sua moglie Rea li partoriva. Quest’ultima, però, inspiegabilmente insoddisfatta della situazione, decise di mettergli i bastoni tra le ruote e gli nascose l’ultimo figlio, Zeus, che, una volta divenuto adulto, effettivamente spodestò il padre e lo fece rinchiudere per l’eternità (l’ergastolo è un casino quando sei immortale!). Significativo il fatto che Crono per gli antichi Greci fosse anche la personificazione del Tempo che, guardacaso, finisce per ingoiare tutto ciò che genera.

Un antico mito che parla del Tempo e della paternità. Io personalmente, pur avendo una figlia piccola, ho altri gusti gastronomici, ma devo dire che il Tempo è per me un argomento strettamente correlato all’essere genitore. Con un bambino piccolo c’è sempre una montagna di cose da fare: cene da preparare, pannolini da cambiare, biberon da scaldare, ma soprattutto l’attività principale che consiste nel cercare di arginare l’innata e inconsapevole tendenza all’autodistruzione che si sviluppa in ogni bambino non appena ha la possibilità di muoversi autonomamente.

E fin qui mi riferisco alla normalità, cioè quando le condizioni sono ottimali: il bimbo sta bene, non ci sono dentini che spuntano, mangia regolarmente, dorme un certo numero di ore al giorno e la Luna in trigono con Mercurio determina una congiunzione astrale favorevole. Se invece malauguratamente gli avversi numi perturbano questo precarissimo equilibrio, ci si rende conto di come anche solo un banale mal di gola possa mettere in crisi un’intera famiglia: nottate trascorse a passeggiare per la casa al buio, giornate di sole chiusi in casa in una quarantena forzata, la ricerca affannosa di un medico o almeno di una farmacia aperta (dato che l’apice di ogni malattia si tocca sempre durante i fine settimana). L’effetto collaterale è che il poco, pochissimo tempo che un genitore può dedicare a se stesso in una giornata (a leggere un libro, a guardere la TV o magari a scrivere un post sul proprio blog) viene completamente azzerato per giorni, a volte per settimane intere.

Poi fortunatamente il bimbo guarisce, sta di nuovo bene. Se per caso la Luna nel frattempo è tornata in trigono con Mercurio magari si ha persino la fortuna che nessuno dei due genitori sia stato contagiato dal bacillo (di norma particolarmente virulento) che aveva causato il malessere del bambino. La situazione insomma sembra tornata alla normalità. Ecco, sembra. Perché in realtà nel frattempo la vita è andata avanti di giorni o magari di settimane, lasciandoci indietro, sempre più indietro.

“Chi è che ha ingoiato il mio tempo?” mi domando. E giurerei di sentire un ruttino emergere dalla culla accanto al mio letto. Il figlio che divora il tempo del padre. Oplà. Signori, il mito è ribaltato.

La mail di benvenuto nel club Pampers...

La mail di benvenuto nel club Pampers...

Solo quando si ha un figlio ci si rende veramente conto della quantità industriale di pannolini necessari per una creatura così piccola. Nel giro di un anno non so quante confezioni ne avremo comprate, sempre rigorosamente marchiati Pampers (a quanto pare, gli unici degni di accogliere le deiezioni di mia figlia). Quasi ogni confezione contiene cartoline di concorsi e promozioni che regolarmente cestiniamo, poco propensi a credere nella dea bendata. Ma stranamente l’ultima volta che abbiamo acquistato una confezione multipla di pannolini mia moglie ha insistito per partecipare alla promozione perché “si sentiva” che ci saremmo aggiudicati uno dei premi in palio (lo dico subito per non creare aspettative: naturalmente non abbiamo vinto nulla!).

Alla prima occasione, quindi, mi connetto al sito della Pampers per inserire il codice del concorso, dato che mia moglie è deputata alle percezioni extrasensoriali, mentre ogni tipo di interazione con la tecnologia è compito mio. Naturalmente per partecipare al concorso l’azienda ti richiede una registrazione completa con tutti i tuoi dati e quelli di tuo figlio, che userà poi negli anni a venire per martellarti di pubblicità (probabilmente starò ancora cancellando mail promozionali dei pannolini quando mia figlia compirà gli studi universitari!). Vabbè. Inserisco tutti i miei dati anagrafici. Quindi mi viene richiesto il mio “stato”: le scelte possibili sono “già mamma”, “in attesa” o “entrambe (mamma e mamma in attesa)”; nella riga sottostante, un’opzione isolata e un po’ sfigata riporta anche la dicitura “papà” (ora, avendo indicato tra i dati anagrafici anche il mio sesso, ci si poteva aspettare che non fossi né una mamma né tantomeno una mamma in attesa, ma immagino che pretendere una preselezione del box fosse chiedere troppo…vabbè). Invio i dati, mi arriva una mail di conferma: nel bel mezzo campeggia in grande la scritta: “Ciao Tiziano, e benvenuta su Pampers.it!”. Ora, a prescindere dalla dubbia opportunità di mettere una virgola prima della congiunzione, quello che più di tutto ha attirato la mia attenzione è l’aggettivo di genere femminile.

Ma come? Ti indico tra i dati anagrafici che sono un maschio, seleziono l’apposita voce “papà” per indicare il mio “stato” e tu, Pampers, non puoi fare lo sforzo di concordare correttamente un aggettivo? Ma non è solo una negligenza, è un modo di pensare diffuso: sono le mamme che si occupano dei pannolini, delle pappe, dei vestiti dei bambini. Ogni prodotto per la prima infanzia è pensato per un target femminile; un uomo che si occupa di queste cose viene immediatamente etichettato come un “mammo”, diventa meno virile, quindi niente di strano ad affibbiargli un aggettivo di genere femminile.

Allora io vorrei rivolgermi alle donne, a tutte quelle donne che si lamentano che i loro compagni non si occupano dei figli o dei lavori domestici, a quelle donne che affermano che gli uomini dovrebbero vivere una paternità consapevole, che dovrebbero prendersi i permessi dal lavoro per occuparsi dei figli, a quelle donne che chiedono la parità dei sessi io vorrei dire che è da qui che dovrebbero partire, dal cambiare questa mentalità, dal togliersi dal viso quel sorriso divertito e riconoscere che anche questa è discriminazione.