Devo ammetterlo: amo le persone un po’ eccessive, debordanti, che non hanno paura di esprimere le proprie opinioni anche quando sono palesemente e ostinatamente contrarie al pensiero comune. Nonostante ciò non ho mai potuto soffrire Vittorio Sgarbi, in parte perché è decisamente troppo pieno di sé per i miei gusti, ma soprattutto per la sua aggressività verbale e la sua inaccettabile maleducazione (nomen omen).
Eppure mi trovo perfettamente d’accordo con le sue recenti dichiarazioni in relazione all’allestimento del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, anzi si può dire che riflettano alla perferzione le mie idee sul mondo dell’arte: sono quindi rimasto molto meravigliato sentendole esprimere da un addetto ai lavori, seppure un personaggio abbastanza border-line.
Sgarbi descrive un “sistema autoreferenziale, ignorante e ridicolo” sostenuto dai critici, dai mercanti d’arte e da una serie di facoltosi acquirenti (si scaglia in particolare contro quelli appartenenti al mondo della moda) che trasformano l’arte in qualcosa di elitario, di lontano dal sentire comune, osannato dal mondo modaiolo e dagli intellettualoidi radical-chic: “Un’arte inventata di sana pianta dalla moda e dal mercato internazionale. Un’arte di fumo, sostenuta da Prada, Trussardi, Fendi”, ovvero da quella “moda che parla di maestri, ma se non hanno una K o una H nel nome, meglio se in fondo, non li espongono nemmeno”. I riferimenti (negativi) abbondano, si va dal contestatissimo Damien Hirst al provocatorio Maurizio Cattelan, per scagliarsi apertamente contro l’installazione di Anish Kapoor nella Basilica di San Giorgio, in corso a Venezia: artisti “imposti dalla mafia autentica dei mercanti, dai collezionisti che pagano e stabiliscono il valore di questo o quell’altro personaggio, il quale poi mette un soffione nella chiesa di Palladio e tutti «Che bello! Che bello!»: una cagata invereconda!”. Seppur con i suoi toni sempre un po’ sopra le righe, insomma, Sgarbi apre un tema importante, che mi sta molto a cuore: l’arte dovrebbe tornare ad avere un rapporto più stretto con la gente, non solo con gli addetti ai lavori, cito ancora Sgarbi: le persone “come hanno un parere sul cinema dovrebbero avere un parere sull’arte; se non hanno un parere sull’arte, è colpa dell’arte” perché l’arte “non deve essere degli specialisti, l’arte è per tutti”.