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Google StreetView

Google StreetView

Come ipnotizzato, continuo a navigare con StreetView attraverso le strade della cittadina nella quale sono nato e dove ho trascorso i primi vent’anni della mia vita. Sembra incredibile veder passare sullo schermo del PC quelle vie che ho percorso mille volte, quei palazzi di cui conosco ogni crepa, ogni dettaglio, quei negozi di cui ricordo le vetrine, gli scaffali, il viso del commesso dietro al bancone.

Non ho mai rimpianto di essermene andato, anzi ogni volta che mi guardo indietro sono sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta. Ma inevitabilmente quei luoghi, quelle strade, quei muri scrostati conservano un mondo di ricordi: i lunghi e accecanti pomeriggi dell’infanzia, le gelide sere d’inverno passate a chiacchierare in piazza, e poi ancora i giorni della scuola, le strade silenziose, l’odore di umido delle botteghe e quello di legna bruciata dei camini, lo sguardo sul fiume veloce che accarezza dolcemente la città, la mente a sognare luoghi lontani.

No, non rimpiango di essermene andato. Anzi, guardando le immagini scorrere sullo schermo mi rendo conto che questo posto per me è diventato un po’ come un cimitero. Un cimitero non è certo un luogo nel quale puoi vivere, eppure di tanto in tanto senti il bisogno di doverci tornare e magari in alcune circostanze, durante una breve visita, può anche comunicarti un senso di pace, restituirti per qualche istante quella tranquillità che hai perduto, ma più di ogni altra cosa è un monumento alla memoria, un tempio che racchiude i tuoi ricordi, l’immagine sbiadita della tua vita passata.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

(Cesare Pavese, La luna e i falò)

Partenze

Pubblicato: 23 giugno 2011 in Il Timido Ubriaco
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Le partenze mi mettono sempre un po’ di tristezza: ci si saluta, si ride, si scherza, si fa finta che nulla sia cambiato. Eppure c’è come un’ombra, un peso che incombe, la consapevolezza che si tratta di una fine, quella sensazione di vuoto che ci sovrasta e che cerchiamo di ricacciare in fondo alla nostra coscienza come un boccone amaro.

Partenze che ho subito, partenze che ho imposto, in entrambi i casi per me è sempre difficile accettare il fatto che persone che hanno attraversato la mia vita improvvisamente non ne facciano più parte o che se ne allontanino, specialmente quando ho la lucidità di comprendere che un evento apparentemente banale segna la fine di un periodo, che le cose sono cambiate, che l’orologio della vita va solo e inesorabilmente in avanti.

Forse non è così per tutti, forse gli altri lasciano che le persone entrino ed escano dalla propria vita senza sentire il bisogno di salutarli, di rivolgere loro un sorriso e di ringraziarli per quello che ci hanno lasciato. Mi viene in mente una bella canzone dei Baustelle: “Gli spietati salgono sul treno e non ritornano mai più. Non sono come noi, perduti antichi eroi, noi due, che al binario ci diciamo addio.”.