Recentemente mi sono imbattuto in un tutorial che fornisce alcuni consigli per avere un blog di successo. Il succo è che i blog devono avere una grafica accattivante, i post devono essere infarciti di elementi multimediali che carpiscano l’attenzione del navigatore distratto e annoiato, ma soprattutto i testi devono essere estremamente brevi, perché, in mancanza di una forte motivazione, un utente difficilmente si spinge oltre le prime righe. E’ solo con la battuta graffiante (vedi Spinoza, che spopola in rete), con la frase ad effetto messa come mood su Facebook che si riesce ad ottenere un po’ di attenzione. Continuando di questo passo quanto tempo passerà prima che il pensiero più profondo che riusciremo ad esprimere sarà una faccina sorridente o una faccina triste?
Ma davvero la nostra società si sta riducendo a condensare ogni concetto nei 140 caratteri di un tweet? Davvero siamo così superficiali da lasciarci attrarre solo dalla carta colorata del pacchetto, senza badare al suo contenuto? Davvero è solo con la boutade, con la battuta sagace che la propria opinione può emergere dall’enorme flusso di informazioni che quotidianamente ci sommerge?
Mi viene in mente un bel film francese visto qualche anno fa che si intitola “Ridicule”: è ambientato nel 1780 e racconta la storia di un marchese che, per ottenere i finanziamenti per bonificare le paludi nelle sue terre (causa di malattie che decimano la popolazione), si reca a Versailles, sperando di poter parlare con Luigi XVI. Ma scopre ben presto che la corte è un enorme e perverso giocattolo, nel quale ogni sua possibilità di esporre al re il proprio problema passa attraverso le arguzie, la risposta pronta e brillante e l’effimera popolarità che se ne riesce a ottenere. E, quando una clamorosa caduta durante un ballo in maschera gli preclude ogni possibilità di incontrare il re, il protagonista commenta amaramente: “Demain des enfants de chez moi vont mourir, et ils mourront de ce ridicule qui m’éclabousse aujourd’hui”.