Archivio per ottobre, 2011

Il logo su una delle magliette della manifestazione alla Leopolda

Il logo su una delle magliette della manifestazione alla Leopolda

Da stasera alla Stazione Leopolda di Firenze ci sarà il Big Bang. Non in senso cosmologico, fortunatamente, ma nel senso della manifestazione organizzata dal sindaco Matteo Renzi per portare una ventata di aria nuova nelle file del PD e di riflesso un po’ in tutto il mondo politico italiano. L’anno scorso alla Leopolda è nato il movimento dei “rottamatori”, quest’anno sembra che partiranno delle proposte ancora più radicali per svecchiare finalmente la politica nel nostro Paese.

Naturalmente, mettendosi contro il sistema di potere attuale, Renzi si è attirato le antipatie di molti esponenti della sinistra italiana (da D’Alema a Cofferati, ma anche lo stesso Bersani) e di buona parte dell’elettorato che lo ritiene “troppo di destra” per essere di sinistra. Perché l’Italia è così, si vive in compartimenti stagni, nutriti da idee preconcette per lo più di matrice ottocentesca: vai a parlare con il Presidente del Consiglio nella sua residenza (per questioni legate alla città di cui sei sindaco, s’intende)? allora sei un corrotto; muovi degli attacchi agli esponenti di una classe politica decrepita e avvizzita, ma che guardacaso sono di sinistra? allora sei di destra; critichi i sindacati? allora sei un fascista. E così via discorrendo, come se ormai avesse ancora senso l’ideologia, il colore politico: io credo che oggi, di fronte al panorama oggettivamente desolante che un elettore si trova davanti, non si possa più guardare al simbolo di un partito, ma sia importante dare fiducia a chi, una volta tanto, dice qualcosa non dico di intelligente, ma perlomeno di sensato.

Quando Renzi è diventato sindaco di Firenze non gli avrei dato due lire, lo ammetto, ma in pochissimo tempo mi ha conquistato. E’ un sindaco che sta cambiando la città, una persona concreta, che prende le sue decisioni e se ne assume tutta la responsabilità: si può essere d’accordo o meno sulle singole operazioni (io comunque lo sono), ma è innegabile che sia riuscito a portare a termine in pochissimo tempo dei grossi interventi, in alcuni casi delle vere e proprie rivoluzioni per chi vive a Firenze. Un uomo che ha avuto il coraggio di proporre persino il completamento della facciata della Basilica di San Lorenzo, riprendendo il progetto michelangiolesco: naturalmente è una cosa impossibile nella nostra Italia immobilizzata nello sforzo di cercare di cristallizzare il proprio passato, eppure la trovo una proposta ardita, un’avventura grandiosa, un nuovo Rinascimento nel XXI secolo. Ma questo è un altro discorso: a Parigi inauguravano la bellissima piramide del Louvre più di vent’anni fa, da noi nel 2011 abbiamo un cantiere aperto agli Uffizi che procede a rilento, tra i continui blocchi del Governo (si tratta di un bene dello Stato) perché cerchiamo un pretesto per evitare di costruire, nel retro dell’edificio, la loggia progettata dall’architetto Isozaki (bella o brutta, non voglio sindacare, ma il progetto ha vinto un regolare concorso pubblico).

Insomma in questa Italia ferma, impantanata, vecchia e ammuffita, mi sento di dare tutto il mio supporto a chi cerca, almeno, di rinnovare le cose, di togliere un po’ di polvere dai soprammobili e di rivolgere per una volta lo sguardo in avanti anziché all’indietro. E voglio concludere aggiungendo che considero la sua “giovane” età un punto a suo favore (metto le virgolette perché solo in Italia a 36 anni si viene considerati ancora dei ragazzini), un vataggio e non un punto debole come invece sento dire da molte parti (recentemente persino da Margherita Hack, che dovrebbe occuparsi di ben altri big bang, ammesso che sia ancora – o sia mai stata – abbastanza lucida per farlo). Anche Crozza, di solito bravissimo, nella sua imitazione di Renzi non ha trovato altro su cui far leva che sulla sua età: mi rendo conto che in un Paese nel quale il Presidente del Consiglio ha 75 anni e il capo dell’opposizione ne ha 60, un uomo di 36 anni possa essere visto come un bambino…ma se l’anzianità fosse davvero sinonimo di saggezza allora l’Italia sarebbe il Paese con il governo migliore del mondo.

La civetta ci ricorda che iniziano le occupazioni

La civetta ci ricorda che iniziano le occupazioni

Passando accanto a un’edicola qualche giorno fa mi è caduto l’occhio sulla civetta di Repubblica che titolava: “Scuola, iniziano le occupazioni”. Un titolo apparentemente banale, anzi uno di quei titoli che ti fanno pensare che non c’erano altre notizie importanti in quella giornata. Ma è proprio questa semplicità, la naturalezza con cui viene comunicata questa informazione che mi sorprende. “Cominciano le occupazioni”, come se si trattasse di una questione stagionale, un evento ciclico e naturale: è ottobre, inizia l’autunno, arrivano i primi freddi e cominciano le occupazioni.

Non sono poi così tanti anni che ho lasciato la scuola e già allora c’era il periodo degli “scioperi” (le virgolette sono d’obbligo, dato che, come giustamente osservava la mia professoressa di lettere, solo chi lavora può scioperare, non certo uno studente che usa invece a sproposito una parola importante, un diritto conquistato con le lacrime e il sangue). Ora addirittura si salta la fase della protesta in piazza, della manifestazione, per approdare direttamente all’occupazione o all’autogestione. In entrambi i casi, allora come oggi, sono convinto che l’unica vera motivazione che spinge i ragazzi (o almeno, quasi la totalità di loro) a queste azioni dimostrative sia il desiderio di interrompere, anche solo momentaneamente, l’attività scolastica, di procrastinare l’inizio delle lezioni, di accorciare l’anno scolastico (casualmente queste operazioni avvengono sempre in autunno, nessuno di questi facinorosi organizzatori si sognerebbe di fare un’occupazione a maggio, quando sono tutti lì a cercare di recuperare, con l’ultima interrogazione, i voti negativi dei mesi precedenti).

Come tante cose nel nostro Paese, anche questa viene presa alla leggera, senza alcuna serietà, senza alcuna assunzione di responsabilità. Io penso invece che non si può passare davanti a un’edicola, leggere questa notizia e non indignarsi (una parola di gran moda oggi). Non si può accettare supinamente ogni sciocchezza, ogni vergognosa finzione. A novembre, quando il freddo spingerà di nuovo in classe le teste più calde, i professori si ritroveranno con i programmi ministeriali ancora da cominciare, interrogazioni e compiti in classe da fare e dovranno necessariamente condensare tutto in un tempo ancora più breve, fornendo senz’altro un servizio peggiore ai loro studenti.

Come chiosa, riporto un dialogo reale, avvenuto qualche giorno fa in una scuola “autogestita” tra uno studente (S) e una professoressa (P):
P: Allora, come vi siete organizzati?
S: …boh…
P: Ma lo sapete che in un’autogestione dovreste organizzare voi l’attività scolastica? Che corsi avete previsto?
S: …boh…noi pensavamo che i professori vengono lo stesso in classe e si parla così, del più e del meno…

La home page di Apple che ricorda il suo fondatore

La home page di Apple che ricorda il suo fondatore

Dispiace che Steve Jobs non ci sia più, eravamo abituati al suo dolcevita nero, ci mancherà la luce che brillava nei suoi occhi quando, dominando la platea come un attore consumato, ci mostrava l’oggetto dei nostri desideri di domani. Personalmente, quello di cui invece avrei fatto volentieri a meno è la sproporzionata attenzione mediatica che ha circondato la sua morte: articoloni in prima pagina, notizia d’apertura di tutti i telegiornali, giorni e giorni di servizi su di lui e sulla sua vita (“Ma ci pensi? La mamma l’ha abbandonato e guarda poi cosa è diventato!”), corredati da interviste a persone disperate che affermano che è stato un genio, che ha cambiato il nostro modo di vivere, che ha inventato il computer (sic!), che ha creato internet (povero Berners-Lee!) e via discorrendo.

Di sicuro è stato un uomo molto creativo e intraprendente, geniale nel senso che ha sempre saputo intuire il modo in cui le persone volevano comunicare e in cui volevano utilizzare i propri strumenti (alla fine, le vere grandi innovazioni di Apple sono sempre state relative alle interfacce), trasformando un telefono, un lettore di musica digitale o di libri in uno status symbol. D’altro canto è stato anche un uomo irascibile, che spesso ha imposto ritmi massacranti ai suoi dipendenti, vendendo prodotti di sicuro impatto estetico ma completamente chiusi all’esterno (al punto da attirarsi le ire persino postume di Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation, che da anni ormai mette Apple in cima alla sua lista nera, prima ancora della famigerata Microsoft). Sul fatto poi che ci abbia cambiato la vita (anche ammesso che il prodotto di un’intera azienda si possa attribuire alla sola genialità del suo CEO) nutro più di qualche dubbio: avrà forse cambiato la vita a quell’esigua minoranza di persone che si possono permettere di spendere centinaia e centinaia di euro per acquistare gli eleganti prodotti della Apple, ma sinceramente preferisco dirigere la mia ammirazione a personaggi magari meno geniali ma più disinteressati.

Insomma, non ho difficoltà a riconoscere la sua grande preveggenza e il suo incredibile fiuto per gli affari, ma mi sento infastidito da questa specie di religione sorta intorno ai prodotti della Apple, questa cieca adorazione per San Steve da Cupertino, il vero Messia dei nostri tempi, questa ripetizione ossessiva del mantra tratto dal famoso discorso tenuto a Stanford, “stay hungry, stay foolish”, come un branco di pecore belanti. Io sinceramente non me la sento di unire la mia alle altre voci adoranti, io quando vedo il discorso di Stanford trasmesso in televisione per la milionesima volta cambio canale, io questa volta preferisco dissentire dal coro. Be full up, be wise.