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La luna delle femmine

Pubblicato: 19 Maggio 2014 in Il Timido Ubriaco
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Mi sei piaciuta subito. Fin da quando non eri altro che un minuscolo fagiolino, un girino saldamente attaccato alla vita. Secondo le assurde credenze popolari, cui mia madre è devota come una religione, avresti dovuto essere un maschio, perché, in opposizione a qualsiasi logica e a qualsiasi statistica, queste teorie affermano che le femmine vengano concepite e nascano solo con la luna calante. Ma queste fandonie tu le hai volute smentire quasi subito, suscitando il disappunto di tua nonna e forse – chissà – anche instillandole un dubbio. Credimi, l’ho apprezzato.

Eppure alla fine sei riuscita a cogliere di sorpresa anche noi, devoti alla scienza, alla tecnica, ai calcoli ginecologici, a volte altrettanto inutili di quelli astrologici. In barba ai calendari hai deciso che era il momento, che alle tue gambine scatenate non bastava più lo spazio di una pancia, che avevi sete di aria e di vita. E prima ancora che ci potessimo rendere conto di quello che stava succedendo, tu eri lì, tra noi, con il tuo minuscolo viso da alieno e quei tuoi occhi acuti, attenti. Mentre ti cullo tra le mie braccia mi guardi, mi osservi, studiando ogni dettaglio con lo stupore di una scoperta, concentrata nello sforzo di imprimere nella mente il ricordo del viso di tuo padre.

Sei nata senza nessun preavviso, di sera, sbocciata come un fiore di maggio. Non eravamo pronti, ma ti abbiamo amata dal primo momento. E quella notte, uscendo dall’ospedale, ubriaco di emozioni e di adrenalina, ho alzato gli occhi al cielo e l’ho vista: era lì, sopra di me, due settimane prima del previsto e mi sorrideva beffarda, la luna delle femmine.

Due

Pubblicato: 19 febbraio 2013 in Il Timido Ubriaco
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Due. Due anni possono essere un attimo e possono essere una vita. Due anni sembra ieri, ma quello che c’era prima è infinitamente lontano, in un altro universo.

Due anni. Era un sabato pieno di sole, una giornata stupenda, quasi tiepida, insolita in questo mese. Ogni tanto guardavo il sole illuminare il mondo fuori dalla finestra. Sembrava sorridere, il mondo. Anche se lei era lì, anche se il cuore batteva forte sotto il camice verde, anche se la paura, l’ansia, l’odore dell’ospedale s’impossessavano di noi, il mondo sorrideva, lì fuori, placido: sì perché quella era la vita, pulsava attraverso di noi, lo sentivamo, era qualcosa che il linguaggio non sa spiegare, un’emozione ancestrale, primitiva, travolgente.

E poi di colpo eri là, bellissima sin dal primo istante, con gli occhi aperti e curiosi a scrutare quello stranissimo posto. Nel calore delle mie braccia, la prima di infinite volte. In mezzo a noi due a insegnarci cosa significano le parole mamma e papà. Lontana o vicina, incessantemente nei nostri pensieri. E ancora insieme a noi due, smarriti incoscienti eccitati felici felici felici, rapiti nell’estasi di te, sopraffatti da un evento più grande di noi, intenti a capire come possa essere possibile che due più uno faccia ancora due.

Il punto di rottura ("l'anello che non tiene" avrebbe detto Montale)

Il punto di rottura ("l'anello che non tiene" avrebbe detto Montale)

I recenti fatti accaduti in Egitto mi hanno fatto riflettere su un problema che mi ha sempre affascinato: il punto di rottura.

Un chiodo rimane immobile per anni e anni, poi un giorno cede di colpo, apparentemente senza motivo, e il quadro cade a terra, il vetro va in fratumi. Forse nel tempo impercettibili movimenti logoravano la struttura del muro? Oppure le tensioni a lungo accumulate e andate crescendo riescono alla fine a vincere ogni resistenza? Cos’è che attiva questi processi improvvisi?

Un popolo che dopo trent’anni di quiete decide inaspettatamente di ribellarsi a un regime, un edificio di duemila anni che implode di colpo, un seme nascosto per giorni nel ventre della terra che produce un germoglio, un bimbo che dopo quaranta settimane improvvisamente decide di uscire dalla pancia della mamma.

Incredibile.