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La Storia mi occhieggia da un angolo

La Storia mi occhieggia da un angolo

Sono a pranzo in un ristorante, un posto senza pretese, decisamente ordinario. Mentre, un po’ annoiato, aspetto l’antipasto, una porta lasciata sbadatamente aperta alle mie spalle mi svela uno scorcio surreale: un busto di Mussolini campeggia in un angolo e lancia uno sguardo severo su tutta la stanza. La mia prima reazione è di incredulità, devo mettere a fuoco meglio: è proprio quello che penso? La seconda di curiosità: quando una porta socchiusa nasconde inaspettatamente la Storia, non ci si può voltare dall’altra parte e fare finta di non aver visto. Mi avvicino e scatto una foto, la pubblico su Instagram con un commento volutamente ironico e irriverente: “Nostalgia, nostalgia canaglia”.

Le reazioni dei miei contatti al vedere questa foto sono diverse: c’è chi mi chiede allarmato cosa significhi, chi non troppo velatamente mi dà del fascista, chi dice che “potevo evitare”. Ma la maggior parte delle persone rimane congelata nel dubbio: “Se faccio like la gente penserà che sono fascista anch’io?”.

Quello che mi colpisce di tutta questa storia è che, quasi un secolo dopo la marcia su Roma, la foto di un busto del Duce faccia ancora paura, che si guardi ai tragici, dolorosissimi eventi del Novecento come se fossero ancora ferite aperte. Probabilmente lo sono. Eppure sono eventi che nessuno della mia generazione né di quella precedente può aver vissuto in prima persona.

Io sono veramente stanco di tutto questo. Sono stanco di guardare film sulla Seconda Guerra Mondiale, sono stanco di leggere libri sui partigiani e sulla Resistenza, sono stanco di celebrare giornate dedicate alla commemorazione di massacri disumani. Vorrei vivere in un Paese che riesca a metabolizzare il proprio passato senza per questo dimenticarlo, che riesca ad affrontare i propri fantasmi e a elaborare i propri lutti. Dove si possa lasciare che la Storia sia Storia e non si trasformi quotidianamente in attualità, in politica, in cronaca, dove si possano archiviare gli avvenimenti trascorsi e guardare avanti, insieme, per costruire un futuro diverso e migliore.

“Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.”

(Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo)

Il tombino poetico

Il tombino poetico

Cammino distrattamente in una piazza ristrutturata recentemente, quando all’improvviso il mio piede si poggia su un oggetto metallico. Un tombino. Niente di più banale in una strada cittadina. E tuttavia la particolarissima foggia di questo tombino attira la mia attenzione: al posto del solito reticolato antiscivolo ci sono una serie di incisioni, da cui emergono alcune parole, una citazione dalla Divina Commedia.

Ora, andrebbe spiegato che questo tombino è posto di fronte all’ingresso del deposito nel quale viene conservato un carro folkloristico utilizzato durante una cerimonia tradizionale fiorentina, ma in verità i versi di Dante che vi sono riportati non si riferiscono affatto a questo particolare carro, ma descrivono anzi un carro celeste che rievoca la biblica visione di Ezechiele, un simbolo della Chiesa, un mezzo per ascendere a Dio, insomma quanto di più lontano si possa immaginare da un carro folkloristico. Eppure l’architetto che ha ristrutturato la piazza ha pensato bene di far incidere questi versi sul tombino. D’altro canto una citazione della Divina Commedia ci sta sempre bene. Ovunque. Anche per terra.

Esito ancora un po’, amareggiato dal constatare come Firenze si dimostri per l’ennesima volta una città incapace di guardare avanti, avviluppata al proprio passato anche quando cerca di rinnovarsi, incatenata al mito di sé stessa fino a trasformarsi in una grottesca caricatura del suo antico splendore, una polverosa vetrina per lusingare mandrie di turisti frettolosi e superficiali.

Sospiro e riprendo il cammino. E mentre inevitabilmente il mio piede calpesta e insozza gli eterni versi del Vate, rifletto sulla differenza tra un omaggio e un oltraggio.

Alta pressione a gogo!

Alta pressione a gogo!

A Firenze abbiamo avuto un weekend quasi primaverile: il cielo azzurro, la temperatura mite, un fine settimana come non se ne vedevano da un bel po’, dopo un 2010 che ci ha flagellato con le sue interminabili piogge.

Stranamente, questa piccola tregua ai rigori dell’inverno mi ha portato un po’ di malinconia: forse per la consapevolezza della sua fugacità, forse perché, anticipando la bella stagione, è come uno sguardo gettato sul futuro, che al tempo stesso richiama alla mente l’alternarsi delle stagioni e manda inevitabilmente indietro l’orologio della memoria.

Un solo raggio di sole, più della roboante confusione del Capodanno, mi ha portato a riflettere sul fatto che è trascorso un altro anno, a pensare alle tante cose che sono cambiate in questo periodo e ai prossimi grandi cambiamenti che mi aspettano. La nostalgia si mescola alla speranza, la speranza alle mie solite, mille ansie.

E tutto questo solo per un paio di giorni di bel tempo: non c’è che dire, sono proprio meteoropatico!

Un venditore di almanacchi

Un venditore di almanacchi

La notte di San Silvestro rinnoviamo un antico rito di passaggio: come il dio Giano bifronte, da un lato volgiamo lo sguardo verso l’anno vecchio che si conclude, facendo inevitabilmente un bilancio di quello che di buono o cattivo ci ha portato, dall’altro guardiamo al nuovo anno pieni di speranza, festeggiando perché la fine coincinde con un nuovo inizio.

E questo passaggio, unito alla necessità tipicamente umana di catalogare le cose, ci dà l’impressione che in questi giorni il flusso del tempo si interrompa, che ogni anno sia come una scatola separata dalle altre, che può contenere gioie o dolori a seconda dei capricci della fortuna: chi ha avuto una pessima annata gioisce al pensiero che sia terminata, chi ha vissuto un anno sereno si volge indietro con un sorriso, ma tutti hanno comunque il cuore colmo di speranze per il nuovo anno, che sicuramente sarà pieno e generoso.

Ma non appena si spegne l’eco dei fuochi artificiali, mentre l’aria è ancora impregnata dell’odore invadente della polvere da sparo, ecco che già ritroviamo la vecchia vita che ci attende alle nostre spalle, proprio nel punto in cui l’avevamo lasciata, incurante del cambio di data.

Beh, anche quest’anno è andata così, la vita prosegue come prima. Ma presto arriverà la svolta, la fortuna, tutto cambierà.

Magari il prossimo anno.

“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”
(Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere)