Archivio per Maggio, 2012

I numeri che "creano frustrazione" nei ragazzi italiani

I numeri che “creano frustrazione” nei ragazzi italiani

Qualche settimana fa la scuola italiana è stata investita da una polemica innescata dal preside dell’illustre liceo Berchet di Milano, che ha proposto l’abolizione dei voti inferiori al 4, con la motivazione che “i due e i tre creano troppa frustrazione nei ragazzi”. La notizia rimbalza da un collegio dei docenti a un altro attraversando l’intera Penisola; qui a Firenze il dirigente di una scuola si spinge addirittura ad affermare che i voti inferiori al 5 sono diseducativi. Praticamente a scuola puoi andare benissimo, molto bene, bene, benino oppure non bene. Se non vai bene, non vai bene. Fine. Senza sfumature.

L’insufficienza, come la famosa livella di Totò, appiattisce. Tutti uguali: lo sfaticato che non ha mai aperto un libro è uguale a quello che studia e si impegna ma non riesce a raggiungere la piena sufficienza, chi fa scena muta è allo stesso livello di chi è appena al di sotto della soglia minima.

Forse è solo un problema di forma, eppure sono fermamente convinto che è proprio dalla scuola che partono certe dinamiche sociali, che si sviluppa la mentalità collettiva dell’Italia di domani. Tutti si riempiono la bocca con parole come meritocrazia e concorrenza, ma un sistema che premia i migliori deve necessariamente punire i peggiori altrimenti corre verso il collasso. Ma in Italia questo è un concetto fastidioso, penalizzare i fannulloni non fa parte della nostra cultura, sospesi come siamo tra un’idea parecchio distorta di uguaglianza e la segreta paura che la prossima testa a rotolare sia la nostra.

E questa mentalità meschina, questo triste appiattirsi della nostra società parte proprio da lì, dalla scuola, da una generazione di giovani cresciuti nella bambagia, abituati a trovare porte aperte, strade spianate. Troppo fragili per poter affrontare un brutto voto. Non certo intimoriti dalle possibili reazioni dei genitori, abituati come sono a essere difesi a spada tratta da loro, quanto piuttosto per l’afflizione psicologica che la sconfitta porta con sé.

Ma andiamo avanti, continuiamo così a rimandare il momento in cui questi ragazzi dovranno fare i conti con la vita, con le sue delusioni, le sue amarezze, le sue prosaiche verità. E continuiamo a crescere dei delicatissimi bambinoni pieni zeppi di insicurezze e di problemi. Perché, come ammette lo stesso preside della Berchet, questi ragazzi “sono diversi da come eravamo noi”. Già, diversi, fragili, meno adatti ad affrontare la vita. Ma siete stati proprio “voi”, la vostra generazione (fortunatamente ho ancora l’età per potermene tirare fuori) a tirarli su così. E ora, pur di non ammettere di aver sbagliato, perseverate nell’errore.